Le parole sono finestre (oppure muri): il libro sulla comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg

‘Le parole sono finestre (oppure muri): recensione

Marshall B. Rosenberg è un’icona nell’ambito della comunicazione non violenta. Nato nel 1934, Rosenberg si è affermato come dottore in Psicologia clinica. Allievo di Carl Rogers, è stato direttore del CNVC, un’organizzazione internazionale che offre servizi di comunicazione in molti Paesi del mondo. E’ morto nel 2015 lasciando anche molte pubblicazioni, fra cui l’illuminante libro ‘Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione non violenta’ (Esserci edizioni).

La nuova edizione del libro, che ha un capitolo inedito, comprende la premessa di Deepak Chopra, la prefazione di Arun Gandhi e uno scritto di Andrea Canevaro, docente presso la Facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna.  

Il volume è un manuale piuttosto agile che è suddiviso in 14 capitoli. Alla fine di ognuno di esso c’è una sintesi che è molto utile per semplificare concetti che potrebbero risultare difficili da ricordare e da applicare. Alla fine del libro ci sono poi degli esercizi.

Il potere dell’empatia nel libro di Rosenberg

Rosenberg in questo manuale illustra come usare le parole in modo empatico per creare coesione e non divisioni tra le parti, spiegando inoltre come comunicare con se stessi e come fare da mediatori e mediatrici in un conflitto. E lo fa raccontando vicende personali e aneddoti che lo hanno visto aiutare con il suo metodo la maggior parte dei suoi clienti.

Secondo Rosenberg alla base dei conflitti ci sono bisogni inespressi che si manifestano tramite le emozioni più svariate. L’ascolto consapevole delle parole che vengono usate a volte in modo violento per manifestare emozioni conduce ai bisogni inespressi delle persone in conflitto.

Quando siamo in contatto con i nostri sentimenti e i nostri bisogni, noi umani non costituiamo più buoni schiavi né buoni subalterni

A bloccare l’empatia sono i giudizi che nascono da una morale collettiva rigida e giudicante che ci è stata tramandata e inculcata sin da bambini e quindi a volte pretendiamo determinate cose anziché chiederle con assertività, così come hanno fatto i genitori per generazioni. Questa morale condiziona i rapporti sul lavoro e in famiglia perché non ci permette di focalizzarci sui nostri bisogni e di esprimerli in modo sano. Finiamo così con il giudicare il nostro interlocutore che inevitabilmente attacca a sua volta o fugge. Per Rosenberg, sono i giudizi moralistici, dunque, che bloccano l’empatia.

La maggior parte di noi è cresciuta parlando una lingua che ci spinge ad etichettare, a fare paragoni, a pretendere e ad emettere giudizi, anziché a diventare consapevoli di quello che sentiamo e di ciò di cui abbiamo bisogno. Credo che la comunicazione che aliena la vita sia radicata in certe visioni della natura umana che hanno esercitato la loro influenza per secoli. Queste visioni enfatizzano i nostri difetti e la nostra malignità innata e suggeriscono che vi sia bisogno di educare per controllare la nostra natura intimamente sgradevole. Tale educazione ci induce a domandarci se c’è qualcosa di sbagliato nei bisogni che proviamo. Impariamo presto a scollegarci da quello che accade dentro di noi. La comunicazione che aliena dalla vita deriva da società gerarchiche, il cui funzionamento dipende dalla presenza di un gran numero di cittadini docili e sottomessi.

Insomma, ‘Le parole sono finestre (oppure muri)’ è un libro adatto a chi cerca un modo alternativo per dialogare con se stesso e con gli altri sfruttando ‘la via alta’ ovvero creando una connessione tra ragione ed emozioni (che non vanno mai giudicate perché dietro un’emozione c’è un bisogno) per relazionarsi in una discussione con sentimento. Da leggere e soprattutto applicare esercitandosi costantemente. Maria Ianniciello

Trovi il libro qui

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