‘Il cervello del bambino spiegato ai genitori’: il libro di Alvaro Bilbao

Com’è fatto il cervello del bambino? Come si sviluppa? Come si evolve? E come possono i genitori e gli educatori relazionarsi con il bambino in modo sano? Alvaro Bilbao è un neuropsicologo di fama internazionale che si è formato presso il Johns Hopkins Hospital, il Kennedy Krieger Institute di Baltimora e il Royal Hospital for Neurodisability di Londra. Ha collaborato con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), lavora come docente in Spagna e ha tre figli. Nell’ultimo libro risponde alle suddette domande con uno sguardo pratico ed innovativo. Il volume si intitola ‘Il cervello del bambino spiegato ai genitori. Per far crescere i nostri figli nel modo migliore’ ed è pubblicato in Italia da Salani.

Allora com’è fatto il cervello del bambino? «Un neonato possiede quasi la totalità dei cento miliardi di neuroni che avrà da grande, la principale differenza tra il cervello del bambino e quello dell’adulto è che nell’adulto quei neuroni avranno sviluppato trilioni di connessioni tra loro; ognuna di esse è chiamata sinapsi», spiega Bilbao. Le sinapsi possono crearsi in due secondi e alcuni neuroni possono arrivare a collegarsi con altri 500mila neuroni vicini. Ognuna di queste connessioni può tradursi in un apprendimento realizzato dal cervello del bambino. Per esempio, «la posizione, la forza, la direzione del pollice nell’afferrare il suo dinosauro preferito si traducono nel cervello infantile in molteplici connessioni neuronali nonché nella sensazione di riuscire, concentrandosi, a ottenere quello che vuole», continua il neuropsicologo.

Un’altra cosa da tenere in considerazione (forse è la più importante) è che alla nascita sono mature due aree del cervello: la parte rettiliana (bisogni primari) e il sistema limbico (emozioni); man mano che i bambino cresce si attivano le diverse aree della neocorteccia (movimento, linguaggio, abilità logico-cognitive). Bilbao insiste nel libro sulla necessità di aiutare il bambino a creare una sinergia tra il cervello emozionale e l’intelletto, ovvero tra il sistema limbico, che governa le emozioni, e la neocorteccia.

il cervello del bambino

Riprendendo gli studi di Daniel Goleman (trovi il libro Intelligenza emotiva, qui), il dottore afferma che non c’è correlazione tra mente razionale e mente emozionale, cioè una persona con QI alto non è detto che abbia anche delle abilità emotive. «Il mondo è pieno di persone dotate di eccezionali capacità intellettive che però non sono empatiche, soffrono di stress cronico o, pur avendo grande successo, non riescono ad essere felici», si legge nel libro. D’altro canto esistono anche persone che non hanno particolari abilità né hanno studiato eppure sono soddisfatte e hanno una vita relazionale appagante. Ma come mai accade? Come sottolineato in precedenza l’intelligenza emotiva e quella razionale sono localizzate in aree distinte del cervello.

E’ necessario pertanto creare un ponte tra queste due aree, ovvero tra mente e cuore, affinché il bambino da adulto riesca a relazionarsi con le proprie emozioni senza esserne travolto o senza sopprimerle. Per quanto riguarda invece le abilità intellettive, è dimostrato che l’equilibrio tra queste due zone del cervello consente di raggiungere più facilmente gli obiettivi prefissati, dato che la persona non agisce sulla spinta di condizionamenti esterni ma sulla base di bisogni intrinseci che sa ascoltare. Bilbao spiega come favorire questa sinergia.

Parole come empatia, assertività, indipendenza e autonomia risuonano molte volte nel libro. Il bisogno di controllo dei genitori si traduce spesso in un’eccessiva apprensione che ostacola la naturale richiesta di autonomia del bambino predisponendolo ad una sensazione di insicurezza e sfiducia. Infatti, un’altra parola chiave del libro è fiducia nelle capacità del bambino e ciò non si traduce in assenza di limiti. Gli ostacoli, sostiene Bilbao, fanno parte della vita e quindi porre dei limiti, attraverso parole appropriate, è fondamentale.  

Usare sinonimi, spiegare con un linguaggio forbito ai bambini cosa sta accadendo e perché una determinata cosa non va fatta in quello specifico momento, senza dire bugie, è una buona tecnica per farsi ascoltare e anche per aiutare il piccolo ad apprendere nuove parole.

Leggere libri, disegnare, aiutare in cucina, prendersi cura del proprio corpo e dei propri spazi, mettere in ordine, giocare con i Lego sono tutte attività che stimolano le abilità cognitive dei bambini. Il dottore consiglia poi ai genitori di ripercorrere con i bambini gli avvenimenti della giornata poco prima di andare a letto; si tratta di un modo divertente e semplice per potenziare la memoria del piccolo.

Insomma, tecniche specifiche ma semplici, un buon ambiente (non eccessivamente stimolante) e la presenza di persone empatiche plasmano la mente del bambino in positivo.

Il neuropsicologo chiarisce poi che i tanto acclamati videogiochi e i dispositivi elettronici possono addirittura compromettere alcune abilità, predisponendo i piccoli al tanto temuto deficit dell’attenzione. L’American Academy of Pediatrics e la Canadian Society of Pediatrics affermano infatti che i bambini da 0 a 2 anni non dovrebbero essere esposti alla tecnologia, dai 3 ai 5 l’esposizione dovrebbe essere di un’ora al giorno, mentre dai 6 ai 18 non più di due ore al giorno.

Un capitolo a parte è dedicato infine alla creatività che, sostiene l’autore, è un’abilità in disuso. I bambini hanno tanta fantasia perché non hanno ancora subito le castrazioni e le censure delle convezioni sociali. E anche in questo caso il dottore suggerisce ai genitori di porre attenzione alle parole che si usano per non spegnere la creatività dei bambini.

Dunque ‘Il cervello del bambino spiegato ai genitori’ è un libro che qualsiasi genitore ed educatore dovrebbe leggere o ascoltare (c’è anche l’audiolibro su Audible) affinché i pensieri, le parole e le azioni limitanti degli adulti non ostacolino i bambini nel loro naturale processo di apprendimento e di sviluppo. Trovi il libro di Alvaro Bilbao qui. Maria Ianniciello

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