Coda. I segni del cuore: un film semplice ma necessario

La parola chiave di un film come Coda – I segni del cuore è empatia che vuol dire capacità di far propri i sentimenti altrui. L’Empatia non consiste nel sapersi calare nei panni dell’altro in maniera cerebrale, come si sente spesso erroneamente dire, bensì è piuttosto una sorta di partecipazione estatica e quindi non verbale che ci pone in relazione con l’altro su un piano molto intimo e dunque spirituale. Insomma, noi diventiamo l’altro perché i confini dati dalla nostra pelle spariscono, la percezione si acuisce e sentiamo lo stato d’animo altrui a livello del cuore. Questo accade perché le emozioni vengono mediate dalla ragione trasformandosi in sentimenti.

L’empatia non richiede mai uno sforzo mentale. Ed è proprio quello che mi è accaduto guardando Coda – I segni del cuore in più di un’occasione e soprattutto verso il finale quando sono stata messa nelle condizioni per entrare in sinergia e in sintonia con una famiglia di sordomuti, nonostante ci fosse uno schermo a fare da mediatore.

La pellicola  – che ha ricevuto tre premi Oscar alla 94esima edizione della kermesse cinematografica più in voga al mondo (miglior film, miglior sceneggiatura non originale, migliore attore non protagonista) – è il remake del film francese La famiglia Bélier (2014). Il lungometraggio è diretto da Sian Heder e si avvale di un cast di attori sordomuti, a differenza della pellicola originale.  

Coda – I segni del cuore racconta la storia di Ruby Rossi (Emilia Jones), unica udente in un nucleo familiare di non udenti. La ragazza aiuta i genitori (Troy Kotsur e Marlee Matlin) e il fratello maggiore Leo (Daniel Durant) nell’impegnativa gestione di un peschereccio. Ruby però sogna di diventare cantante e il maestro di canto della sua scuola (Eugenio Derbez), quando si accorge del suo grande talento, le prospetta di iscriversi alla Berklee College of Music. Ruby dovrà scegliere se continuare a fare da interprete alla sua famiglia a bordo del peschereccio o realizzare i suoi sogni altrove. La pellicola, attraverso una storia molto semplice, fa leva dunque su valori universali che toccano più sfumature dell’essere emozionando in diverse occasioni.

Ruby mediante il canto può realizzarsi come individualità e come donna. Ma i familiari non riescono a capire i suoi desideri perché non possono in alcun modo sentire la sua straordinaria voce. Dovranno perciò usare altri canali sensoriali per accostarsi a lei e al suo mondo fatto di suoni e di parole. Così come Ruby ha fatto con loro sin da bambina.

Il film non parla dunque solo di inclusività perché affronta tanti aspetti, dal bisogno di lasciare il nido, mantenendo salde le proprie radici, a quel senso di prostrazione e di colpa che si prova quando si teme che, andando incontro ai propri sogni, si possano ferire gli altri. Coda – I segni del cuore è un film necessario proprio per il messaggio nobile che trasmette. La recensione del film è stata scritta da Maria Ianniciello

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