Acque profonde di Adrian Lyne

Acque profonde: recensione del film

Per quanto si è moderni ed emancipati il rapporto d’amore tra Vic (Ben Affleck) e Melinda (Ana de Armas) del film ‘Acque profonde’ lascia comunque un mix di sconcerto e disgusto. Ma chi se ne intende di Cinema sa che il regista Adrian Lyne entra per abitudine nei legami amorosi per mostrarne la carica erotica e conturbante e fare così un’analisi antropologica dell’amore. Come del resto testimonia la sua filmografia, che è quasi tutta a sfondo erotico e sessuale: da Flashdance e 9 settimane e ½, da Attrazione fatale a Proposta indecente e Lolita è un susseguirsi di incontri pepati e attimi fuggenti…

Melinda, l’Afrodite bambina…

Da L’amore infedele (altro film di Lyne) ad Acque profonde sono trascorsi venti anni, nel corso dei quali anche il modo di intendere l’amore eterosessuale è cambiato un pochino. Il tradimento diventa in Acque profonde qualcosa da esibire quasi per ravvivare la coppia e Melinda non è la femme fatale di Attrazione fatale, è altresì un’Afrodite che seduce e ammalia altri uomini davanti agli occhi del marito Vic che dichiara di essere una persona molto pagata e moderna perché lascia alla consorte la possibilità di esprimere la propria sessualità in modo libero. Appunto, dichiara! Perché nei fatti Vic è molto geloso e possessivo. E si evince dal modo in cui si prende cura della moglie: le toglie le scarpe, le prepara la tisana, cucina, l’aiuta a scegliere l’abito da indossare. Insomma, la tratta più da bambina che da donna.

Un thriller senza lode e senza infamia

Acque profonde è un thriller erotico senza lode e senza infamia. Nella pellicola si riflette sul patriarcato nonché su un’apparente e, secondo me, mai possibile poligamia nell’ambito del matrimonio. Lyne indugia inoltre sull’aggressività che il maschio della nostra specie tende a voler reprimere, salvo poi farla emergere in modo inconsulto e selvaggio proprio perché non l’ha riconosciuta né voluta a tempo debito. La pellicola è la trasposizione cinematografica del romanzo che Patricia Highsmith scrisse nel 1954, proprio due anni dopo l’uscita di Carol, dal quale è stato tratto un bel film, (questo sì con lode). La recensione è di Maria Ianniciello

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