Si è sempre fatto così, il libro sulla pedagogia di genere di Alessia Dulbecco

Sono trascorsi cinquant’anni dall’uscita del libro ‘Dalla parte delle bambine’ di Elena Gianini Belotti. Il saggio è diventato negli anni un cult della pedagogia di genere e un caposaldo del Femminismo, tanto che è stato spesso un punto di riferimento in molti altri volumi successivi, come per esempio nel recente ‘Si è sempre fatto così’ (edizioni Tlon) di Alessia Dulbecco, pedagogista e counselor fiorentina. Trovi il libro qui.

Si è sempre fatto così: recensione del libro di Alessia Dulbecco

Alessia Dulbecco nel libro ‘Si è sempre fatto così fa una disamina interessante sugli stereotipi di genere. La pedagogista sostiene che ancora esistono differenze tra bambini e bambine anche nei metodi educativi. Queste disuguaglianze si evincono nel tessuto sociale e vengono mantenute in piedi dal pregiudizio, ancora intatto, proprio come ai tempi di Gianini Belotti, che tra maschi e femmine ci siano delle differenze date dalla biologia anziché dai condizionamenti culturali. Scrive Dulbecco: “La scuola, i media, gli ambienti informali frequentati si impegnano più o meno consapevolmente per trasmettere a persone più o meno giovani una serie di modelli definiti in base a due elementi: il sesso e il genere”. Il primo, precisa l’autrice, ha una base biologica; il secondo è una costruzione sociale.

Le gabbie di genere

Alessia Dulbecco, citando la pedagogista Irene Biemmi, scrive di vere e proprie gabbie di genere, nelle quali vengono inseriti i bambini e le bambine già prima della nascita per creare il binarismo di genere su cui è costruita la nostra società. Si parte con i colori (rosa e celeste) che in realtà, pur essendo solo colori, hanno il fine di incasellare ed omologare ponendo al vertice della piramide il maschio della nostra specie.

I ruoli restano così fissi: le donne sono ancora votate alla cura, perché considerate più emotive e fragili, mentre gli uomini sono obbligati a performare un’idea di mascolinità forte nel tentativo di non retrocedere di un solo passo in un territorio che viene considerato ancora femminile. La bellezza poi è ancora ritenuta l’unico capitale a disposizione delle donne per emergere e si fa in modo, sin dall’infanzia, che questo paradigma resti inalterato.

Dall’infanzia alla vita adulta

Alessia Dulbecco in ‘Si è sempre fatto così’ ripercorre tutte le fasi della vita, dall’infanzia all’adolescenza sino all’età adulta. “Gli adulti influenzano le scelte di gioco dei figli per esempio fornendo loro stimoli positivi quando scelgono giocattoli ritenuti appropriati al genere”, scrive Dulbecco. Ma, mentre una bambina oggi potrebbe indossare una tuta del fratello o giocare con giochi tradizionalmente maschili, il contrario è impensabile. Tutto questo si ripercuote nella vita adulta, anche per quanto concerne la violenza di genere e il lavoro femminile.

In realtà attraverso il gioco simbolico i bambini e le bambine rappresentano l’universo culturale in cui sono cresciuti e con esso le aspettative sociali di cui sono oggetto in virtù del loro genere. Precisa Dulbecco: “Aiutare i bambini ad acquisire le competenze emotive e di accudimento non li predispone all’omosessualità ma solo a un ruolo, quello di cura, che non ha genere. Mettere le bambine nella condizione di fare sport fisici e affinare le capacità logiche e scientifiche non le renderà meno femminili ma essere umani più completi (…) Per far sì che una bambina possa giocare a far finta di essere la dottoressa – e non solo la mamma della bambola – è indispensabile che qualcuno le dica che può farlo, cioè che nessuno abbia inibito la possibilità di pensarsi in quel ruolo”.

Più considerazioni

‘Si è sempre fatto così’ è un libro, dunque, che fa riflettere sugli stereotipi e soprattutto sulle gabbie di genere nelle quali siamo tutti e tutte relegati. Ci costringe ad aprire una riflessione anche sulle emozioni che non hanno genere. Eppure alcune emozioni, come la rabbia per le donne e la tristezza o la paura per gli uomini, vengono represse a seconda del genere.

I maschi hanno il terrore di piangere perché temono di apparire poco virili. Inoltre, preferiscono frequentare percorsi di studi tecnici o scientifici perché gli studi umanistici consentono di accedere poi a professioni di cura che sono considerate ancora oggi degradanti dagli uomini. Insomma, Dulbecco conferma che – a distanza di cinquant’anni dall’uscita del libro di Elena Gianini Belotti – poco è cambiato nei fatti. Urgono, perciò, una pedagogia e un’educazione di genere. Maria Ianniciello

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