Purl, il cortometraggio che educa alla parità di genere

Purl e la parità di genere. Recensione

Per educare alla parità di genere bisogna partire dalla prima infanzia con un linguaggio semplice. Ci sono tanti strumenti che, con un approccio integrato, aiutano a sviluppare l’empatia nei bambini (dai quattro/cinque anni in poi). L’empatia è la capacità insita in ogni essere umano di sentire letteralmente lo stato d’animo altrui. Si tratta di un’abilità che va esercitata proprio come un muscolo. I cartoni animati sono un valido strumento, come sostengo ormai da tempo, per aiutare i bambini ad accogliere la diversità altrui nel rispetto dei diritti essenziali di coi ogni essere umano deve beneficiare. In questa ottica Purl, il cortometraggio d’animazione della Pixar, affronta il delicato tema delle pari opportunità e dunque contribuisce a educare alla parità di genere.

Purl, gomitolo discriminato sul luogo di lavoro

Purl è un gomitolo di lana che viene assunto da un’azienda dove lavorano solo uomini in giacca e cravatta, con una mentalità molto legata al mito del machismo e con una politica produttiva basata sulla forza e sulla concorrenza spietata.

Purl all’inizio si sente a disagio e di troppo, perché viene discriminato. Ma ben presto, per essere accettato, si adegua alle logiche del gruppo e si trasforma in qualcosa che non è. Si integra nel gruppo a discapito della propria essenza, fino a quando non entra nel team un altro gomitolo che le ricorda chi davvero era un tempo.

Diretto da Kristen Lester il film d’animazione della Pixar, si occupa con un linguaggio semplice, attraverso un plot, ricco di simboli del tema dell’integrazione mettendo l’autostima al centro. Il cartone ci suggerisce che le pari opportunità sono possibili solo se ciascuno rispetta se stesso e la propria natura. Ripercorre inoltre in modo simbolico le tappe dell’emancipazione femminile in ambito lavorativo, dove le donne si sono dovute adattare per troppo tempo a logiche maschili. Adesso – ci dice il corto – è il tempo che si superino gli stereotipi e che ciascuno sia valutato solo per le proprie qualità e non per caratteristiche immutabili quali l’etnia, il luogo di provenienza e il genere di appartenenza.  Maria Ianniciello

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