Anatomia di uno scandalo: recensione della serie tv di Netflix

Anatomia di uno scandalo è una miniserie in sei episodi che è stata ideata da David E. Kelley e Melissa James Gibson e che si basa sull’omonimo romanzo di Sarah Vaughan.

C’è una sorta di negazionismo sottile ed irritante che serpeggia sui social e su alcuni portali anche quando si parla di violenza di genere e soprattutto di stupro. Secondo l’Istat, il 31,5 per cento delle 16-70enni (6milioni 788mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2 per cento (4milioni 353mila) ha subìto violenza fisica, il 21 per cento (4milioni 520mila) violenza sessuale, il 5,4 per cento (1milione 157mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652mila) e il tentato stupro (746mila). Questi sono i numeri italiani; nel mondo la situazione ovviamente è ancora più grave e complessa, perché, come nel nostro Paese, ci sono casi sommersi.

Anatomia di uno scandalo, la miniserie televisiva di Netflix, si inserisce in questo contesto affrontando il tema dello stupro in un modo diverso e con uno sguardo ambiguo, forse proprio partendo dal negazionismo che aleggia in una parte della società occidentale, la quale tende ancora a colpevolizzare la vittima per l’abbigliamento, il comportamento o addirittura per la postura riabilitando così il carnefice.

Se pensiamo che fino a pochi anni fa almeno in Italia lo stupro era considerato un reato contro la morale e non contro la persona possiamo ben capire perché questo crimine sia sottoposto alla libera interpretazione dei giudici mentre avvocatesse e pubblici ministeri donne si battono per fare emergere ciò che non si riesce nemmeno a vedere a causa di bias cognitivi ancorati alla logica del possesso del maschio sulla femmina che vive e si manifesta nell’ambito del patriarcato.

Anatomia di uno scandalo racconta le vicende che vedono implicato il ministro conservatore inglese James Whitehouse (Rupert Friend), il quale viene accusato di stupro da una sua ex amante e collaboratrice. Sottoposto al processo dall’avvocatessa Kate Woodcroft (Michelle Dockery), il ministro dovrà dimostrare di essere innocente. Tramite flashback la macchina da presa ci porta indietro nel tempo a quando James era un ragazzo che faceva parte del club dei Libertini. Ma la serie tv indugia soprattutto su Sophie (Sienna Miller), la moglie del ministro, che a poco a poco apre gli occhi cominciando a guardare il marito in maniera diversa anche mediante la ricostruzione dei suoi ricordi di ragazza.

Anatomia di uno scandalo però nel tentativo di dire tutto finisce col non dire a sufficienza su una problematica molto attuale e di non poco conto come si è evince dai dati. Gli autori non fanno, quindi, di James un bruto ma nemmeno lo scagionano. Per la verità la serie tv rimane in superficie soffermandosi molto sul consenso e sulla volontà della donna che può decidere di sottrarsi ad un rapporto sessuale avviato se sente aumentare il proprio disagio. La donna può togliere il consenso e l’uomo è tenuto a rispettare la decisione della partner; di conseguenza se non lo fa si tratta di violenza. Oppure no? E’ su questo punto di domanda che ruota tutta la miniserie. La recensione è stata scritta da Maria Ianniciello

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