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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: recensione del film

Anna come Anna Frank. Anna come tutti quei bambini ebrei che prima e durante l’ascesa dei Nazisti in Germania furono costretti all’esilio, per sfuggire prima all’emarginazione sociale e culturale, poi alle deportazioni nei lager e nei campi di concentramento. Anna, che è il nome della protagonista del film oggetto di questa recensione, è anche il simbolo dei piccoli emigranti di un mondo contemporaneo sempre più bizzarro e in divenire. Bambini soli o accompagnati dai genitori o da qualche altro parente e conoscente che sfuggono alle guerre e che si mettono in cammino per condurre un’esistenza dignitosa in un nuovo Paese.

Quando Hitler rubò il coniglio rosa

Quando Hitler rubò il coniglio rosa è un lungometraggio sui migranti che non ha i risvolti drammatici di pellicole come ‘Il bambino con il pigiama a righe’ perché si tratta innanzitutto di un film sui luoghi, oltre che sulle persone, e non per niente la piccola Anna (Riva Krymalowski), ogni qualvolta lascia la propria casa per andare in un’altra nazione – dove dovrà ricostruire di nuovo un pezzo della propria identità senza far traballare le proprie radici – saluta con un piglio di nostalgia le stanze, il quartiere… le cose insomma che sta per lasciare. Con questo piccolo gesto la bambina dà un nome alle cose e quindi al proprio sentire; riconoscendo le emozioni che accompagnano il distacco riconosce ciò che prova e sa affrontare il proprio dolore.

Quando Hitler rubò il coniglio rosa, dal punto di vista stilistico, è un film tradizionale e semplice, a tratti anche didascalico, un po’ come ‘Un sacchetto di biglie’. Ma proprio per la sua semplicità questa pellicola riesce a toccare le corde del cuore. Il film racconta la storia di Anna che è figlia di Arthur Kemper (Oliver Masucci), un famoso critico teatrale e cinematografico che, con i suoi scritti lucidi e disincantati, si oppone ai nazisti.

Siamo nella Berlino del 1933. Poco prima delle elezioni, che decreteranno l’ascesa di Hitler, il padre viene messo all’indice dai nazisti. Quindi la piccola, col papà, il fratello Max (Marinus Hohmann) e la madre Dorothea (Carla Juri) è costretta a fuggire in Svizzera. In terra neutrale il padre cercherà un lavoro che consenta alla sua famiglia di vivere dignitosamente, mentre la madre pianista si dedica alle faccende domestiche con non poche difficoltà (avevano una governante a Berlino che è interpretata da Ursula Werner). Insomma per nessuno dei membri della famiglia sarà semplice affrontare i cambiamenti che verranno. Quando Hitler rubò il coniglio rosa è diretto da Caroline Link e si basa sul romanzo omonimo di Judith Kerr. La recensione è di Maria Ianniciello

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Maria Ianniciello

Giornalista culturale. Podcaster. Scrivo di cultura dal 2008. Mi sono laureata in Lettere (vecchio ordinamento) nel 2005, con il massimo dei voti, presso l'Università di Roma Tor Vergata, discutendo una tesi in Storia contemporanea sulla Guerra del Vietnam vista dalla stampa cattolica italiana. Ho lavorato in redazioni e uffici stampa dell'Irpinia e del Sannio. Nel 2008 ho creato il portale culturaeculture.it, dove tuttora mi occupo di libri, film, serie tv e documentari con uno sguardo attento alle pari opportunità e ai temi sociali. Nel 2010 ho pubblicato un romanzo giovanile (scritto quando avevo 16 anni) sulla guerra del Vietnam dal titolo 'Conflitti'. Amo la Psicologia (disciplina molto importante e utile per una recensionista di romanzi, film e serie tv). Ho studiato presso l'Istituto Riza di Medicina Psicosomatica il linguaggio del corpo mediante la Psicosomatica, diplomandomi nel 2018 in Naturopatia. Amo la natura, gli animali...le piante, la montagna, il mare. Cosa aggiungere? Sono sposata con Carmine e sono mamma del piccolo Emanuele

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