Tredici, la serie tv sui disagi dei teenagers. Recensione delle quattro stagioni

Alla fine ce l’ho fatta. Ieri sera ho terminato di guardare anche la quarta e ultima stagione di Tredici (13 Reasons Why), la serie tv di Netflix. E’ stato un viaggio avvincente, a tratti incomprensibile, perché alcuni dettagli della sceneggiatura mi sono sembrati un po’ forzati, dai personaggi che scompaiono e poi riappaiono nel finale improvvisamente, come Courtney Crimsen (Michele Selene Ang), al mix imperfetto di temi sociali (il suicidio, lo stupro, i disagi mentali, le dipendenze varie, la lotta per l’emancipazione femminile e l’uso delle armi).

Nel complesso tuttavia ogni stagione della serie televisiva è riuscita a coinvolgermi, rendendo il mio percorso di spettatrice interessante ma ostico così come ostica è la vita di questi ragazzi che si muovono in un contesto non più patinato, alla Beverly Hills per intenderci, eppure hanno tutto a portata di mano: soldi e genitori disposti ad assecondarli, supportandoli alla minima difficoltà.

E’ ovvio che non per tutti sia così; per esempio c’è Justin Foley (Brandon Flynn) – che è il personaggio più problematico della serie e che ha una madre tossicodipendente, la quale si disinteressa di lui – e c’è Tony Padilla (Christian Navarro) che è figlio di immigrati messicani e che per studiare deve lavorare. Monty (Timothy Granaderos) ha invece un padre molto severo che non accetta la sua omosessualità.

Tredici recensione

Ad ogni modo questi adolescenti della middle class, pur avendo l’esempio di genitori che si sono costruiti da sé (e forse anche per questo), faticano a trovare un’identità e, dato che all’esterno gli ostacoli non sono reali, erigono delle barriere interne pur di affrontare e poi superare le difficoltà che sono principalmente figlie della noia, la quale arriva per scuotere le loro coscienze rendendoli fragili affinché il processo di individuazione si compia. Gli adulti sono figure accessorie perché poche volte svolgono un’azione frenante, dato il loro ruolo accomodante e talvolta indifferente.

Gli studenti della Liberty High School si ritrovano così soli, senza vere guide, in preda ai fantasmi interiori diventando custodi di segreti che fungono da comune denominatore in una collettiva ricerca di senso. Così l’adolescente deve svestirsi dei panni di narciso per ritrovare nell’altrui sguardo se stesso e la propria autentica identità, perché il soggetto esiste solo in relazione all’oggetto.

L’adolescente si muove nel gruppo e trova la sua motivazione per la difesa del bene comune in nome dell’amicizia. Con il mondo degli adulti – che è ancora troppo distante – si comunica poco e male. E gli amici sembrano in talune occasioni giudicanti e severi ma sono gli unici che parlano una lingua comune e quindi comprensibile. La morte diventa infine il viatico per la conoscenza di sé perché in questo spartiacque – che è l’adolescenza – per rinascere bisogna anche affrontare il dolore della morte che, come tutti i riti di passaggio, è catartica. E… non mancano i villain che sono rappresentati in primis da Bryce (Justin Prentice) e Monty.

Tredici non è una serie accomodante né un prodotto anestetizzante. La prima stagione si apre con il suicidio di Hannah Baker (Katherine Langford) che lascia a 13 compagni di scuola 13 cassette. La ragazza è stata bullizzata e stuprata. Lo spettatore conosce la storia mediate Clay Jensen (Dylan Minnette) che è uno dei personaggi principali.

La prima stagione di Tredici – che si basa sul romanzo di Jay Asher (lo trovi qui) – è potente e quasi priva di sbavature, nonostante la durezza e insieme la pericolosità del tema affrontato. Poi pian piano, nelle stagioni successive, la serie si allontana dalla storia di Hannah Baker e perde un po’ della sua incisività ma nel complesso riesce a conservare un certo appeal perché i personaggi principali si tingono di nuove sfumature, in un gioco degli opposti cadenzato e feroce come la vita, dove nessuno può essere circoscritto né definito!

Nonostante le recensioni negative, che avevo letto sulle stagioni successive alla prima, hoguardati tutte le puntate e devo dire che ho fatto bene perché la serie tv – che è stata ideata da Brian Yorkey – mi ha lasciato una sensazione di completezza e anche un senso di nostalgia sia per i personaggi che per quel rituale serale durato due mesi che mi mancherà!

Insomma, Tredici ti resta dentro e ti scuote, fino alla fine quando Clay, Jessica, Tony, Tayler, Zach, Alex… vanno incontro al loro destino rafforzati e più consapevoli. Maria Ianniciello

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