‘Volevo nascondermi’: recensione del film su Antonio Ligabue

Un tempo si giocava a nascondino e ancora oggi i bambini si divertono a nascondersi tanto che spesso i più piccoli si coprono gli occhi con le manine perché, così facendo, pensano di non essere visti. I bambini hanno un pensiero magico e simbolico molto sviluppato, proprio come gli artisti. Il pittore e scultore Antonio Ligabue era uno di questi, come si denota nel film ‘Volevo nascondermi’.

Ma perché nascondersi? Quando piantiamo un seme, lo poniamo al buio, nascosto, sottoterra. In questo modo la pianta, se innaffiata e posta alla giusta temperatura, in un ambiente idoneo, potrà svilupparsi e crescere. Non tutte le piante però richiedono condizioni, che noi riteniamo favorevoli, e talvolta cercano contesti ostici.

In verità mi piace paragonare gli esseri umani alle piante. Hannah Arendt parlava della necessità di avere, oltre ad una vita attiva, anche e forse soprattutto dei momenti contemplativi senza i quali non ci sarebbe spazio per la creatività. La contemplazione richiede comunque solitudine e una propensione all’ascesi eppure bisogna riconoscere che non per tutti gli artisti è così! Antonio Ligabue, per esempio, ebbe bisogno di nascondersi fino a un certo punto della sua esistenza, forse per prepararsi all’Arte. Lo si evince dal film di Giorgio Diritti che posa la sua macchina da presa sul grande artista italiano, realizzando un affresco dell’uomo delicato ma allo stesso tempo audace e dirompente, perché la cinepresa s’insinua tra le pieghe di un vissuto molto particolare, fatto di sofferenza e di gloria, di abusi e di solitudine, di follia e di rinascita.

volevo nascondermi

La fotografia di ‘Volevo nascondermi’ passa dai toni del grigio del manicomio e dell’infanzia del personaggio principale alle sfumature pittoresche e colorate dei paesaggi italiani, seguendo così l’evoluzione interiore e quindi artistica dello straordinario pittore che raffigurava soprattutto animali, anche selvatici. In questo modo esorcizzava il dolore ed attenuava le sue nevrosi. Con il corpo curvo e l’andatura traballante ma fiera, Elio Germano si cala con maestria nei panni di un uomo complesso, dalla personalità particolareggiata e spigolosa.

Attraverso una serie di flashback conosciamo così il pittore da bambino che voleva solo essere amato e che chiedeva di essere visto da chi si ostinava a non vederlo. Ci caliamo, quindi, in ambienti, anche scolastici, rigidi e freddi.

I caratteri biografici vengono, tuttavia, solo accennati in questo film perché ciò che interessa è l’evoluzione psichica e insieme la solitudine di un uomo che cercava, mediante le sue creazioni, di lasciare una traccia di sé nel firmamento della grande Arte. E in effetti, l’Italia tra gli anni Quaranta e Cinquanta lo amò facendolo diventare uno degli artisti più importanti del XX secolo.

Elio Germanio e Giorgio Diritti, con Tania Pedroni – nelle vesti di sceneggiatrice – hanno creato un piccolo gioiello della Settima Arte che, pur non avendo avuto fortuna nelle sale, visto che il film è uscito al Cinema durante l’emergenza Covid, è stato acclamato dalla critica. La pellicola ha ricevuto infatti diversi riconoscimenti, tra cui un Orso d’Argento e sette David di Donatello. Un plauso alla produzione e a tutto il cast. Maria Ianniciello

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