Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano

Recensione del libro Cose che non si raccontano

Mentre leggevo ‘Cose che non si raccontano’ (Einaudi, lo trovi qui) di Antonella Lattanzi e poi ascoltavo l’intervista che la scrittrice ha rilasciato alla giornalista Marta Perego su Instagram, ho fatto un pensiero che qualche anno fa mai avrei pensato di fare. “Devo dire a tutte le ragazze sopra i trent’anni che conosco (amiche, parenti etc) che se vogliono avere un figlio devono sbrigarsi, perché la biologia femminile da questo punto di vista è inclemente!”. Stentavo a credere ai miei stessi pensieri, io che dai ventotto (gli anni in cui mi sono sposata,) ai trentacinque anni ho sempre risposto per le rime a chi mi chiedeva guardando la pancia: “Ma quando fai un figlio?” oppure: “Sei incinta?”. Io che mi arrabbiavo molto, perché il mio lavoro da giornalista era tutto da costruire e volevo più tempo. Loro non potevano capire come io mi sentissi. Non riuscivano a capirmi perché è difficile, perché non siamo abituati a calarci nei panni altrui. Giudichiamo. Condanniamo. Io per la verità mi sentivo squartata in due, perché ero divisa tra due desideri, entrambi legittimi, entrambi sacrosanti, per qualsiasi essere umano. Sapevo che io e mio marito non avremmo avuto aiuti nella cura di un neonato e questo mi preoccupava, moltissimo. Sapevo che se volevo continuare a lavorare dovevo armarmi di tutto il coraggio che avevo a disposizione per non perdere una parte essenziale di me stessa. Infatti così è stato. Ci siamo ritrovati soli e mi sono fatta coraggio.

cose che non si raccontano

Un romanzo terapeutico

Non è di me che voglio parlare, anche se Antonella Lattanzi in Cose che non si raccontano mi costringe a guardarmi dentro, a rivedere il mio passato in un’ottica diversa (non esagero se dico che anche questo romanzo sta contribuendo a guarirmi). Dopotutto la Letteratura fa pure questo, no? A volte ti dona più consapevolezza, almeno a me capita spesso. Attraverso storie vere o inventate io mi ritrovo, immagino un’altra me con altre situazioni; insomma mi vedo. Lo so, sto scrivendo ancora di me. Taccio.

Cose che non si raccontano è un romanzo molto doloroso. Scritto in prima persona, Lattanzi usa uno stile molto viscerale (non è un diario, l’autrice lo sottolinea nel libro diverse volte) per ricompiere il percorso accidentato verso una maternità desiderata e non concretizzata, forse proprio per l’età.

La morale cattolica

Nel romanzo trapelano con forza: il senso di colpa per non aver provato prima, dopo due aborti volontari; la morale cattolica – che ammonisce le donne che intraprendono la via non proprio agevole della procreazione medica assistita, facendole sentire peccatrici se abortiscono e per questo colpevoli di tutte le ipotetiche disgrazie successive; il senso di impotenza quando tutto precipita; la difficoltà a condividere con amici e parenti il proprio immane dolore.

Antonella manifesta con una frase, con una parola, il retro pensiero di essersela meritata tutta quella via crucis. E questo fa male anche a chi legge ma è terapeutico perché la morale cattolica giudicante vive in noi, soprattutto in noi donne, pure in quelle persone che pensano di essersene liberate.

Il corpo che sanguina

Antonella desidera tanto un bambino e ci prova con tutti i mezzi umani a disposizione, prima naturalmente e poi artificialmente. Ma il caso, il destino, il fato (chiamatelo come volete ma non chiamatela espiazione) ci mette lo zampino e il suo sogno sembra non realizzarsi mai e complice la pandemia da Covid-19 deve stare da sola in ospedale subendo di tutto. Tra violenze ostetriche e cuori pulsanti di feti ancora vivi, il suo corpo sanguina e la sua psiche è lacerata ma lei tiene duro.

Un pugno allo stomaco

Il romanzo è come un pugno allo stomaco, ti fa perdere il fiato, perché, attraverso emozioni e sentimenti molto contrastanti, ti fa sentire impotente di fronte alla vacuità della vita. Antonella a dir la verità mi ha aperto il cuore facendomi provare empatia per la sua storia che è quella di tante donne. Ma soprattutto mi ha costretta a farmi delle domande che sono insieme individuali – perché parlano dei miei pregiudizi e della mia morale – e collettive sulle reali cause della bassa natalità nel nostro Paese e sull’immagine patinata ed angelica che ancora avvolge le mamme, le quali anche se hanno uno o più figli restano degli esseri umani con delle ambizioni, dei sogni, dei desideri di successo. Così come i papà che spesso sono incautamente assenti durante e dopo la gravidanza. Questo libro – che non è rassicurante ma è necessarioaffronta anche questo tema! Leggetelo! Non ve ne pentirete. Scopri di più sull’autrice qui. Maria Ianniciello

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