Il signore delle formiche di Gianni Amelio

Gianni Amelio con Il signore delle formiche torna ad occuparsi delle ombre del Bel Paese, dopo Hammamet, film su Bettino Craxi con un superlativo Pierfrancesco Favino, e dopo La Tenerezza, pellicola sulla terza età ambientata a Napoli.

Il signore delle formiche: recensione e trama

Il cineasta calabrese nel suo nuovo lungometraggio (la storia si ispira a fatti realmente accaduti) non definisce in modo netto un confine tra giusto e sbagliato, bene e male, accettabile e non tollerabile. Piuttosto entra nella morale degli anni Sessanta, mostrandoci il volto di un’Italia, che – come chiarisce Amelio stesso – nonostante il boom economico faticava a superare i retaggi culturali di stampo fascista, dove coloro che erano considerati non conformi dalla famiglia e dalla società venivano rinchiusi in manicomio per essere sottoposti a terapie atroci come l’elettroshock.

Ed è quello che accade al giovane Ettore (Leonardo Maltese), uno studente emiliano che resta affascinato subito dall’immane cultura del professore Aldo Braimanti, il quale ha le sembianze di uno straordinario Luigi Lo Cascio. L’attore, infatti, ci mette il cuore, l’anima e tutto il proprio sentire in questa interpretazione.

Ad ogni modo tra Aldo ed Ettore nasce nelle campagne emiliane una tenera storia d’amore. Ma il ragazzo appartiene a una famiglia cattolica, ha una madre severa e bigotta (Anna Caterina Antonacci), un fratello invidioso e un anziano padre indifferente.

Così Ettore viene rinchiuso in manicomio e Braimanti finisce in carcere con l’accusa di plagio. Il professore viene sottoposto ad un processo sui generis mai verificatosi prima di allora in Italia. Basti pensare che il reato di plagio fu abolito, poi, nel 1981 perché dichiarato anticostituzionale ma più volte nel corso degli ultimi decenni si è cercato di reintrodurlo con motivazioni diverse che sono state ritenute prive di fondamento scientifico.

Amelio alza, quindi, i riflettori non tanto sul processo in sé quanto sull’impossibilità di vivere una relazione omosessuale (Ettore era maggiorenne e consenziente) alla luce del sole. Senza provocare quella sensazione di sconcerto che favorisce atti di bullismo e abuso anche giudiziario ai danni di uomini e donne che fondamentalmente esercitano solo il diritto di amare una persona dello stesso sesso liberamente.

All’epoca i tabù sopravvivevano in primis nelle famiglie che erano dei nuclei chiusi e circoscritti. Negli atti Sessanta lo scontro generazionale era serrato e senza vie d’uscita per i giovani, come raccontava lo stesso Pierpaolo Pasolini. L’ala progressista non era d’aiuto perché il Partito Comunista Italiano, al di là dei proclami e delle dichiarazioni di facciata, era molto conservatore, come si evince nel lungometraggio di Amelio. Nel film chi cerca invece di cambiare le cose è Marcello (Elio Germano), giornalista de L’Unità che si occupa del caso, insieme a Graziella (Sara Serraiocco), una giovane pasionaria. Interessante e acuta è poi la metafora delle formiche, che, come sostiene Aldo, riescono a sopravvivere pure in una teca di vetro, l’importante è che siano in gruppo…

Insomma, con equilibrio e una certa lungimiranza (le vedute sono ampie nonostante la ristrettezza della mentalità) Amelio narra una storia senza tempo ne Il signore delle formiche, perché alla fine, quando si esce dalla sala, ci si chiede: in me che cosa resta di quella cultura omofoba? Dopotutto la finalità del Cinema d’autore è quella di suscitare domande scomode in contesti scomodi. Maria Ianniciello

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