Inside Man: recensione della serie tv

C’è tutto in Inside Man, la serie televisiva di Netflix. Ci sono le situazioni paradossali e rocambolesche alla Woody Allen, c’è l’America che cerca la propria identità in figure religiose smarrite. E c’è l’umorismo che si esplica nella tragicità dell’esistenza mentre il destino gioca a dadi con la vita delle persone.

Inside Man si avventura, con una certa lucidità ed ilarità, nel lato più oscuro di un’umanità in divenire che non ha più punti di riferimento. Creata da Steven Moffat, la serie tv estremizza ogni aspetto dell’esistenza, rendendola melliflua, priva di senso. Si addentra così nel braccio della morte presentandoci un personaggio sui generis: Jefferson Grieff (Stanley Tucci) è un criminologo che è stato condannato alla pena capitale per aver massacrato la moglie e che, nel braccio della morte, risolve casi complessi mescolando logica ed intuizione. Mentre un detenuto di colore gli presta la sua memoria, come se fosse un computer o un blook notes, e al contempo gli fa da alter ego.

Su un piano parallelo troviamo un prete di provincia (David Tennant) che si ritrova suo malgrado invischiato in una rete di pedofilia. Sarà Janice (Dolly Wells), l’insegnante privata del figlio, a costringerlo a delle macabre scelte. A unire le due storie, che si verificano una sul versante ovest e l’altra sul versante est degli Usa, è una giornalista investigativa (Lydia West).

Insomma, Inside Man è uno psico-drama molto avvincente e coinvolgente, in cui più generi si uniscono. La serie, infatti, pur rievocando i toni e le forme di altri thriller psicologici e dei gialli, brilla di luce propria. Suddivisa in quattro lunghi episodi, la serie tv si perde un po’ forse verso il finale, quando nel tentativo di creare pathos e sorpresa i dialoghi e i monologhi diventano meno incisivi, più scontati.

Inside Man non è comunque una riflessione sulla pena di morte, apre invece più di uno spunto sui lati ombra dell’essere umano rendendolo estremamente imprevedibile, anche quando ricopre ruoli in cui la morale del soggetto dovrebbe condizionare le scelte mettendo il bene della collettività al di sopra del benessere individuale e familiare. Eppure la paura di perdere e di perdersi rende ciechi i protagonisti facendoli commettere azioni senza senso e creando il terreno fertile per eventi infausti che diventano incontrollabili. Da vedere! Recensione di Maria Ianniciello

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