Lubo: recensione del film

Il Cinema è sempre a caccia di nuove storie. In quest’ultimo periodo sono sempre più i registi che portano nelle sale vicende, spesso cruenti e dirompenti, che riguardano le minoranze. Dopo il nuovo lungometraggio di Martin Scorsese, che ha indagato nella Storia dei nativi americani con fare meticoloso, in Italia è uscito Lubo, il film di Giorgio Diritti.

Lubo: recensione e trama del film di Giorgio Diritti

Quando si parla di Nomadi o meglio di zingari (questo è il termine usato in modo dispregiativo) nella nostra mente collettiva si crea l’immagine di un bambino sporco e trasandato che ruba nelle metropolitane, nei tram e negli autobus oppure immaginiamo una donna che chiede l’elemosina con in braccio un bambino, meglio se neonato. Alle mie latitudini, la zingara ha la pelle scura, cammina in genere in gruppo ed è ritenuta inaffidabile. C’è poi un’immagine patinata ed è quella del nomade circense, del giocoliere, del saltimbanco, dello zingaro che fa divertire grandi e piccini.

Lubo (Franz Rogowski) appartiene a questa seconda categoria di nomadi. Con la moglie e suoi figli si spoglia dei panni quotidiani per indossare gli abiti del prestigiatore. Ma, quando la Confederazione lo chiama alle armi, l’uomo perde ciò che ha di più caro. La moglie viene uccisa, i figli spariscono. Siamo nel 1939 nel Cantone tedesco. I bambini nomadi vengono tolti alle loro famiglie per essere inseriti in un programma di rieducazione (proprio come ha fatto la Chiesa cattolica con i nativi d’America) volto a cancellare ogni traccia del nomadismo. Però non tutti i nomadi, scopriamo nel film, vivono nell’illegalità.

Giorgio Diritti porta dunque la sua macchina da presa in territori inesplorati e segue i passi di questo padre, che per ritrovare i figli è disposto a tutto. In una realtà che non rendeva mai giustizia ai nomadi (per via degli stereotipi) Lubo indaga. Gli anni passano e quest’uomo cerca di farsi una vita costruendosi una identità plurima perché da zingaro avrebbe ricevuto porte in faccia. Questo film non giudica: Lubo si macchia di colpe pesanti. Giorgio Diritti cerca di allargare il nostro sguardo, proprio come aveva fatto in Volevo nascondermi.

Ma l’eccessiva distanza che si crea tra lo spettatore e il protagonista non rende giustizia alla storia, nonostante il film sia avvincente perché la sceneggiatura è ben scritta e i primi piani si alternano alle panoramiche e ai campi medi in un gioco di sincronie. Ma manca nel nuovo lungometraggio di Diritti l’emotività perché, a mio avviso, si è dato poco spazio ai soggetti dell’innesco (ovvero ai figli e a alla moglie) che lo spettatore e la spettatrice vedono solo in poche scene. Il film tuttavia convince e merita. Nel cast troviamo tra gli altri Valentina Bellè nei panni di Margherita, il secondo amore di Lubo. Maria Ianniciello

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