La Vajassa

Pulcinella che attira l’ostessa per  toccarle il seno - ‘Piatto da portata’ in maiolica napoletana del primo Seicento. Collezione privata.
Pulcinella che attira l’ostessa per toccarle il seno – ‘Piatto da portata’ in maiolica napoletana del primo Seicento. Collezione privata.

 

 

Tipi napoletani del Seicento - Particolare da Caravaggio, Le sette Opere della Misericordia.  Napoli,  Pio Monte della Misericordia.
Tipi napoletani del Seicento – Particolare da Caravaggio, Le sette Opere della Misericordia.
Napoli, Pio Monte della Misericordia.

Vajassa a Napoli é una donna volgare e sguaiata. E non solo…  Quando nel 2010 affibbiò a Sandra Mussolini in televisione questo epiteto, la salernitana Mara Carfagna ‘Ministro per le pari opportunità’ sapeva quanto avrebbe ferito la sua interlocutrice, di pari cultura napoletana perché figlia di Anna Maria Scicolone sorella minore di Sofia Loren. Ma non tutti gli spettatori potevano avvertire l’entità dell’offesa, la parola vajassa ha una storia che la impregna  di sensi sconosciuti altrove.

Nella Napoli cinquecentesca decaduta al ruolo di Viceregno spagnolo, le vajasse erano ragazze che fin da piccole   – orfane o vendute –    vivevano e invecchiavano da ‘serve’, prigioniere nelle dimore delle famiglie nobili. Ai primi del Seicento, per ottenere il diritto di maritarsi cominciarono a mettere in piazza fatiche, malattie, miserie e vergogne. Ma non ebbero altro risultato che confermare l’opinione già diffusa, che la condizione servile comportava anche il concedersi ai ‘padroni’!

         Le vicende quotidiane delle vajasse diventarono protagoniste nel poemetto La vajasseide, ‘epopea delle serve’, composto dall’originalissimo poeta partenopeo  Giulio Cesare Cortese. Ma non poteva certo cambiare le cose uno come lui, che  si divertiva a scrivere:

 

                      Duje guste ha chi se nzora, duje guste da stordire,

                      chi l’ha provato lo pò dire: l’uno la primma notte

                      che la mogliera afferra, l’autro quanno l’atterra…

 

cioè soltanto due sono i piaceri che può provare l’uomo che si sposa: quando prende la moglie la prima notte e quando lei muore e va a sotterrarla! Per giunta, proprio il Cortese, primo commediografo a introdurre nel teatro napoletano il personaggio di Pulleceniello inventato pochi decenni prima, gli attribuì il vizietto di allungare le mani sulle donne. Per questo, l’ignoto autore del Piatto da portata che qui presento in fotografia     – esemplare unico nella maiolica barocca –    raffigurò col tradizionale cappellaccio floscio sulla testa, maschera nera e colletto pieghettato alla spagnola Pulcinella che attira l’ostessa per toccarle il seno davanti alla porta, sormontata dalla tipica ‘frasca’, dell’osteria nota in tutta la Napoli seicentesca come ‘Taverna della Zoccola’ (Figura 1).

         Anche il Caravaggio aveva del resto notato che povertà e promiscuità di vita abbassavano la soglia del pudore nelle donne delle classi popolari partenopee, e ne ritrasse qualche veristico atteggiamento nella tela Le sette opere della misericordia che dipinse a Napoli in quegli stessi anni (Figura 2).

         Con la fine del potere spagnolo finì il triste mestiere delle vajasse. Il termine cadde in disuso e la sua effimera riapparizione in televisione non l’ha certo restituito all’uso corrente, come invece per ragioni di intraducibile sapore semantico è accaduto a tante altre parole antiche della cosiddetta napoletanità verace: scugnizzo, guaglione, scarrafone, mozzarella, nciucio… ormai intese dovunque.

Elio Galasso

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