L’ARTE SOTTO I PIEDI

 

«Soltanto un cieco dovrebbe fare una domanda del genere», rispose Aristotele a uno che gli aveva chiesto perché siamo sempre attratti dal “bello”, cielo stellato, fiori e cascate, persone e animali e tante meraviglie della natura. In effetti non aveva dato una risposta, non lo sapeva. Né lo so io quando da Posillipo guardo affascinato l’arco del golfo, Capri nel mare blu dove la penisola di Sorrento quasi la tocca, e il Vesuvio minaccioso sullo sfondo. Invece, so bene perché non siamo sempre attratti anche dall’“arte” e passiamo davanti a opere importanti senza farci caso: succede perché siamo condizionati da pregiudizi. Quasi tutti, entrando nella Basilica di San Pietro, non vedono le grandi Porte di bronzo di Manzù e vanno decisi verso la Pietà di Michelangelo, e al Louvre milioni di visitatori corrono a cercare la Gioconda senza accorgersi della stupenda Nike di Samotracia alta più di tre metri, al primo piano. Così, tanti capolavori restano invisibili. Nella dimora di una aristocratica famiglia napoletana ho passato un pomeriggio ad osservare dipinti, arazzi, stampe, arredi di pregio. Sarei rimasto per ore ad ascoltarne le storie dagli amici, padroni di casa. Ma si fa tardi, saluto, dò un ultimo sguardo a un trittico di acqueforti alle pareti e solo allora mi accorgo che sto… calpestando un ampio riquadro di “riggiole” in maiolica inserito a mo’ di tappeto nel pavimento di marmo della sala. Sorpreso da quel brano d’arte prelevato da chissà dove, prendo tempo, lo esamino e poi dico: «Opera dei Chiajese!». La scena policroma mi pareva uscita dalla fabbrica di quella dinastia di maiolicari napoletani del Settecento, forse proprio dalle mani del mio preferito, Ignazio Chiajese, che quand’era ragazzo odiava l’arte di famiglia, e poi, a venticinque anni, si immerse nell’avventura creativa, folgorato dalle prediche del teologo Alfonso Maria de’ Liguori, autore fra l’altro del canto natalizio “Tu scendi dalle stelle”. Volete provare a incantarvi davanti a un panorama incomparabilmente “bello” senza però ignorare una straordinaria opera d’ “arte” custodita con cura, lì accanto a voi? Aspettate una giornata serena, quando il sole ravviva i colori arancio, azzurro, bruno, viola, verde e ocra delle maioliche antiche. Basterà una gita a Massa Lubrense, patria del limoncello e dei Chiajese, i maestri riggiolari che sembra abbiano voluto sfidarci a muover passi nelle chiese senza sciupare le scene e le decorazioni da loro composte per terra. Salite al borgo di Monticchio, avrete Capri a portata di voce ma da una angolazione insolita, e nella deliziosa Chiesetta del Monastero del SS.Rosario troverete, proprio di Ignazio Chiajese, il pannello e il pavimento a riggiole di cui propongo qui alcuni raffinati dettagli rococò insieme a un ritratto di lui, vestito da “signore” d’epoca. Altrove ne troverete ben pochi di pavimenti di quel livello. Molti sono stati rimossi dai luoghi originari, sostituiti con impasti moderni creduti “più funzionali”. Rarissimi sono quelli recuperati e valorizzati con gusto, ma ugualmente raro è trovarne qualcuno smembrato e venduto a caro prezzo, riggiola per riggiola, nei mercatini d’antiquariato. Uno scempio! Anche l’Irpinia ne aveva uno, il pavimento che Ignazio eseguì per la cappella del Castello ducale di Grottolella. Ma è andato anch’esso perduto, a conferma che non c’è pace per l’arte, nemmeno quando è fatta per essere messa… sotto i piedi.

 Elio Galasso

 

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