TRADIRE SI PUO`, FEDRA!

Poco più che ragazza, è regina e matrigna in un inquietante mito arcaico. Guarda il giovane figlio di suo marito che si aggira per la reggia, atletico, amante della caccia, dei cavalli. La passione la travolge. Lui è rispettoso, fin troppo. Lei si arrovella, è morale la passione per un figliastro? Sembrerebbe di si, in fondo non si tratta di un parente vero e proprio. Però non è morale l’adulterio, questo è certo, è tradimento. E poi è sposata col re, sarebbe uno scandalo. Il destino si compie in quel nuovo, possente richiamo. E’ questione di epoche, tuttavia. Oggi la psicanalisi è venuta a dirci che tradire si può, se si tratta non di un capriccio ma di una scelta di libertà: quando l’amore trasmigra da un amato all’altro, è giusto assecondare le profonde esigenze del cuore piuttosto che accettare la morte interiore in nome delle convenzioni sociali. Bel problema se la mettiamo così, dato che il bisogno di autenticità, quello che spinge anche al tradimento, è un bivio che può aprirsi davanti a ciascuno di noi.

Fedra, la regina innamorata, la cantò Euripide nella tragedia Ippolito con cui vinse il primo premio nelle Grandi Dionisie del 428 a.C. Il re suo marito era Teseo, l’eroe che nel labirinto di Creta aveva ucciso il terribile Minotauro. Il giovane era Ippolito. Bloccata la regina dalla morale d’epoca, il sommo tragediografo greco provò ad affidare il ruolo-chiave a un personaggio minore. La nutrice di Fedra rompe gli indugi, si fa ruffiana e va a raccontarne i deliri erotici a Ippolito, chiedendogli di giurare che non parlerà a nessuno di quella disponibilità femminile al tradimento. Incuriosito egli giura ma, sentendo l’assurda offerta d’amore, la respinge scandalizzato. Fedra ascolta e sceglie di morire. Scelta di autenticità? Macché. Prima di impiccarsi per il bruciante rifiuto, scrive al marito che Ippolito l’ha stuprata! La falsa motivazione che dà del suicidio è una perfida vendetta, convince Teseo che la casta sposa s’è uccisa per l’offesa del depravato figliastro al suo pudore. Il cadavere ne è prova inconfutabile. Del resto, Ippolito non può dare spiegazioni, per il giuramento fatto alla nutrice. La tensione è al culmine. Un groviglio di interrogativi piomba sul pubblico attonito. Traditrice Fedra o, peggio, spregevole canaglia? O tutte e due? E’ sfuggita ad ogni condanna? L’innocente sarà messo a morte? Quand’è che il male può prevalere sul bene? Gli dei staranno a guardare mentre è a rischio la divina armonia del cosmo?

Affascinato dal ruolo ‘immorale’ della nutrice, sette secoli dopo per la prima e unica volta un artista romano raffigurò in un bassorilievo quel personaggio minore, visto soltanto a teatro. Nessuno studioso però, fino ad oggi, vi ha mai notato la nutrice che invece in tutta evidenza diventa protagonista col suo gesto fortemente espressivo. E’ il drammatico marmo col Mito di Fedra e Ippolito custodito nel Museo del Sannio a Benevento, opera di valore assoluto per gli squarci che apre su una mentalità antica pervenuta fino a noi. Lo scultore intreccia in tre sequenze un unico racconto. A sinistra la regina in trono, con un amorino alato ai piedi. Sicura del suo fascino nella veste sontuosa, attende e si fa bella con l’aiuto di una ancella che le appronta specchi e ampolle. La sua immagine sovradimensionata le conferisce un’aura di maestà regale. Nella scena centrale la nutrice si protende per sussurrare l’insana passione all’orecchio del figliastro, in partenza per la caccia con compagni e cani. A destra Ippolito fugge inorridito in groppa al suo destriero. La dea Artemide con lo scudo non riesce a proteggerlo da un mostro che emerge dal mare, spaventa il cavallo e fa sbattere il giovane contro le rocce. Lo ha mandato il dio Poseidone per richiesta di Teseo che ha letto la lettera di Fedra suicida. Fin qui lo scultore romano. Sarà proprio Artemide alla fine, conclude a sua volta Euripide, a svelare al re menzogne e verità, mentre Ippolito, portato ferito nella reggia, muore perdonando suo padre. Il mito era orrore per i Greci antichi, ma abisso indispensabile per la catarsi. Purificazione che le attuali scienze del pensiero hanno reso ormai superflua. Insomma, se proprio dovete tradire, siate moderni, passate un momento dal vostro psicanalista e poi via! E non fatene una… tragedia.

 

Elio Galasso

 

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