Ho scritto questo libro invece di divorziare

Come sono arrivata al nuovo libro di Annalisa Monfreda

Sono arrivata al secondo libro di Annalisa Monfreda causalmente o almeno così mi suggerisce il mio cervello razionale. In realtà in libreria avevo visto questo testo più volte ma, come spesso accade con i saggi che si occupano dei temi del Femminismo, ho tergiversato prima di acquistarlo. I temi dell’emancipazione mi risuonano talmente tanto da suscitare in me un misto di rabbia ed impotenza.  Ma “Ho scritto questo libro invece di divorziare” (Feltrinelli – Urra) era un segugio, lo vedevo ovunque, e quindi ho deciso di comprarlo e di leggerlo subito.

Qui trovi il libro

A dir la verità l’ho letto in pochissime ore, non solo per la sua agilità (un centinaio di pagine circa) ma soprattutto perché le parole della giornalista nonché ex direttrice del settimanale Donna Modena, Annalisa Monfreda, erano e sono un po’ anche le mie. Mamma di un bambino di quattro anni e moglie da 12 di un uomo che si è sempre interessato ai temi del Femminismo, ho visto in questa giornalista, che ha abbattuto il soffitto il cristallo, una parente molto affine.

Io lavoro in proprio, da sola, senza essere soggetta alle direttive di editori esigenti. Infatti in questo piccolo spazio personale e professionale ho trovato la mia voce e la mia autonomia. Sono passati troppi anni da quando mi muovevo nel giornalismo locale, quindi ho dimenticato cosa si prova a dover dare spiegazioni a uomini impettiti sulle vendite e sugli articoli pubblicati, a non avere tempo per una pizza né per l’estetista o il parrucchiere, a dover continuamente mediare sotto lo sguardo di chi ti giudica costantemente per il tuo genere e ti osserva con la lente di ingrandimento magari pagandoti in ritardo con la scusa che tuo marito può provvedere ai tuoi bisogni (sì, è accaduto anche questo).

So tuttavia che cosa significhi lavorare in proprio con un bambino piccolo, un marito, una casa da gestire, i pasti da preparare. Il multitasking è una costante anche per me: conosco la frustrazione di chi vorrebbe solo respirare un po’ e la rabbia di chi ogni giorno deve convivere con fastidiosi luoghi comuni sulla maternità, so come ci si sente quando sono chiamata a giustificare il mio bisogno di indipendenza e il desiderio di emancipazione nell’ambito professionale.

Ma un uomo deve giustificarsi perché lavora? No, un uomo non solo non è chiamato a scegliere tra il lavoro e la famiglia ma non deve nemmeno combinare i due ambiti. A un uomo si chiedono soldi e successo. E credo sia logorante anche per gli uomini, così com’è logorante per le donne essere viste sempre e solo come madri, perché, ammettiamolo, anche le donne che decidono liberamente di non avere bambini sono viste un po’ come le madri dell’umanità, non come esseri dotati di un intelletto.

Di cosa parla questo libro?

‘Ho scritto questo libro invece di divorziare’ si sofferma soprattutto sul carico mentale e sul lavoro domestico di una madre che lavora fuori casa. Monfreda si è accorta del carico mentale e dei pregiudizi sulla propria condizione di donna durante il primo lockdown, quando non poteva contare sull’aiuto pratico della colf e, quindi, oltre a pensare e a programmare le attività delle figlie e le faccende domestiche doveva anche svolgere mansioni di tipo pratico dedicandosi alla sua professione contemporaneamente in un angolino della casa. Ha capito così che il carico mentale, che è eccessivo, toglie alle donne – che sono madri, mogli e lavoratrici – energie e dunque salute.

D’altra parte preparare un pasto non è solo una semplice esecuzione materiale, è un impegno ad ampio raggio che si suddivide in pensieri ed azioni, dal decidere un piano alimentare per grandi e piccini – che tenga presente le esigenze nutrizionali di tutti, tenendo a mente cosa si è preparato i giorni precedenti, per non ripetere le stesse pietanze – alla spesa sino all’atto del cucinare e a mettere in tavola il cibo. E’ un impegno sommerso che richiede attenzione e cura.

Stessa cosa per le pulizie. Ad una donna, che lavora fuori casa, è richiesto automaticamente che tenga in ordine la propria abitazione, che si occupi dell’abbigliamento dei figli, i quali vanno seguiti sempre dalla mamma nelle attività scolastiche ed extrascolastiche.

Capirete che il corpo di una madre/lavoratrice è sottoposto ad uno stress eccessivo che, secondo Annalisa Monfreda, può essere risolto sì dallo Stato (il congedo di paternità di tre mesi per esempio come in Norvegia) ma soprattutto dalla coppia stessa, dando finalmente dignità al lavoro di cura non retribuito. Il carico mentale e fisico deve essere, secondo Monfreda, diviso a metà. Contemporaneamente lo Stato deve riconoscere la figura paterna come paritaria con leggi specifiche.

Molti spunti per creare un modo più sostenibile per stare in coppia

Il libro di Annalisa Monfreda offre molti spunti per riflettere. Si tratta nello specifico di una piccola indagine su ciò che manca all’emancipazione di fatto, perché da una donna (a prescindere dal guadagno e dal lavoro) si pretende ancora impegno di cura non retribuito e dedizione alla famiglia in modo esclusivo. Con dichiarazioni di esperti e riferimenti a studi, questo libro parla di democrazia dell’intimità, di altruismo, di capacità di ascolto, di amore e condivisione. Ci spiega inoltre com’è nata la figura della casalinga e della donna tutto fare. Insomma, ‘Ho scritto questo libro invece di divorziare’ è un volume diverso che va letto con attenzione da uomini e donne per ritrovare un modo più sostenibile per tutti di stare in coppia e di essere una famiglia.

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