La ragazza di Stillwater: recensione del film con Matt Damon

Conduce una vita relativamente monotona Bill Baker, il protagonista de La ragazza di Stillwater. La macchina da presa scandisce da subito i momenti salienti di una quotidianità troppo noiosa in cui ogni gesto è privo di pathos. Lo spazio emotivo è stato infatti compresso per l’impossibilità di dare una svolta all’esistenza dopo un passato tormentato dalla morte e delle dipendenze. Ne consegue che i passi di Matt Damon siano cadenzati ma privi di armonia, segno che la vita per il nuovo personaggio dell’ex Jason Bourne ha perso di brio.

La ragazza di Stillwater: recensione

La ragazza di Stillwater è un film intimo e personale che dall’Oklahoma ci conduce a Marsiglia. Nella città francese Bill ha una figlia, Allison (Abigail Breslin), che è finita in carcere perché accusata di aver ucciso la sua compagna di origini arabe. Nonostante la ragazza continui a dichiararsi innocente, accusando dell’assassinio Akim (Idir Azougli), un musulmano di pelle bianca (il ragazzo non è mai stato individuato), la giustizia francese ha deciso di archiviare il caso, anche per il clamore mediatico che aveva trasformato l’imputata in un mostro da sbattere in prima pagina.

La ragazza di Stillwater recensione

Tom McCarthy, ispirandosi velatamente alla vicenda di Amanda Knox, si prende il tempo per sviluppare la storia con equilibrio ed eleganza. Il film parla nello specifico di seconde opportunità, di fede, di accettazione del destino, di amicizia, di mutuo scambio e di evoluzione personale.

Il regista de Il caso Spotlight guardando all’Io, che annichilisce il Sé, non si dimentica del Noi e concede al suo personaggio principale la possibilità di andare oltre l’ostacolo per ritrovare la sua vera essenza attraverso incontri fortuiti ma decisivi che gli cambieranno la visione della realtà.

La piccola Maya (Lilou Siavaud) e sua madre Virginie (Camille Cottin) daranno a Bill un aiuto prezioso e la possibilità di rendersi utile mentre prova a far uscire la figlia di galera in una Marsiglia piena di insidie, in cui la lotta di classe si è trasformata in uno scontro culturale efferato.

Nella città francese  – che esula i suoi immigrati, i quali vivono nei sobborghi di periferia, in quartieri dai palazzoni squadrati e anonimi,  – l’America non è più un modello da seguire ma una vecchia reminiscenza, un mito appiattito dal tempo e dalla Storia.

La ragazza di Stillwater è davvero un bel thriller dal taglio intimistico che riflette anche sulla figura paterna in una società liquida e sul percorso che bisogna compiere per ritrovare un pezzo di Sé, oltre la storia, oltre la famiglia, oltre le abitudini.  

Recensione scritta da Maria Ianniciello, seguila su Instagram

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