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Everything Everyewhere All at One. Recensione

Quando ci si approccia ad un film come Everything Everyewhere All at One bisogna tener presente che il Cinema esprime concetti innovando o al contrario mantenendosi fedele alla tradizione. Ed è necessario compiere un’operazione mentale aggiuntiva quando si guarda una pellicola del genere: ci si deve dimenticare dei sette premi Oscar che il film ha ricevuto nel 2023 (su ben 11 nominations) per godersi l’esperienza appieno.

Everything Everyewhere All at One : trama e recensione

Everything Everyewhere All at One è un film bizzarro. La macchina da presa di Daniel Kwan e Daniel Scheinert (The Daniels) si muove rapida spiazzando gli spettatori più volte. Tutto si esaurisce e si esplica mediante i corpi che si muovono acrobatici nei vari multiversi. Ed è principalmente il corpo di Evelyn (Michelle Yeoh) che crea e fa spettacolo. E’ la sua mimica, il suo fisico minuto, la sua perplessità.

La protagonista sta vivendo un momento molto drammatico, non è sola come Fern (Chloé Zhao) di Nomadland, ma come quest’ultima ritrova un pezzo di sé o del Sé mettendosi in moto; la prima a bordo del camper, la seconda con l’immaginazione. Stanca come Fern, Evelyn al contrario di quest’ultima è un’immigrata cinese che ha lasciato la Cina per stare con l’uomo che amava (in questo si somigliano), ovvero il marito Waymond Wang (Ke Huy Quan) che lei definisce stupido più volte. Eppure è proprio una versione alternativa  e molto più affascinante del consorte che la trascina nei vari universi paralleli dove esistono varie versioni della protagonista.

Tutto in realtà accade nella mente di Evelyn che si ritrova nella vita reale suo malgrado faccia a faccia con un’esattrice delle tasse alquanto pittoresca: Deirdre Beaubeirdre (Jemie Lee Curtis) sembra essere uscita da un fumetto. Ha la pancia gonfia, lo sguardo di chi è pronto a punire gli evasori, gli abiti colorati, i capelli bianchi, l’andatura sbilenca. Non ha quasi nulla della grigia funzionaria statale.

Evelyn è invece minuta, si rimpicciolisce di fronte ai suoi problemi, evita di affrontarli a viso aperto. Gestisce una lavanderia che sta per fallire, il marito le sta per chiedere il divorzio, non accetta l’omosessualità della figlia Joy (Stephanie Hsu) che immagina posseduta da un mostro, una sorta di entità aliena chiamata Jobu Tupaki. Rifugiandosi in questi universi paralleli, dove le possibilità per lei sono molteplici, Evelyn impara a metabolizzare e a trasformare le proprie difficoltà.

Tre capitoli e più generi per un film bizzarro

Il film è diviso nei seguenti capitoli: Everything (Qualunque cosa); Everywhere (Ovunque); All at One (Tutto in una volta). In ognuno di questi tre episodi si verificano eventi cruciali per la protagonista. Insomma, questo lungometraggio è una riflessione sull’ineluttabilità dell’esistenza, sulle infinite possibilità e sull’accettazione del proprio destino, intesa non come sopportazione e sacrificio ma come rivalutazione delle proprie scelte che vanno osservate con una luce nuova che, attraverso stupore e meraviglia, ci fa scorgere la bellezza di essere come e dove siamo.

The Daniels passano dalla commedia all’avventura, dal fantascientifico all’azione indugiando, con un film sui generis, sull’insoddisfazione e sulla frustrazione degli esseri umani contemporanei che vivono nel rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato. Ma i due registi e sceneggiatori non si fermano al semplice racconto perché forniscono anche una personale soluzione. Il lungometraggio è anche una riflessione sconsiderata e provocatoria sul tentativo della nostra società (rappresentata qui dalla madre Evelyn) di frenare i cambiamenti epocali raddrizzando le nuove generazioni. E’ insieme una pellicola collettiva ed intimistica, che fa della dimensione individuale uno spazio collettivo per fare interessanti considerazioni (molto suggestive le scene dei sassi).

I premi Oscar e gli altri riconoscimenti

Everything Everyewhere All At One ha ricevuto sette premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, migliore sceneggiatura originale e miglior montaggio), due Golden Globe, un BAFTA e altri riconoscimenti. Maria Ianniciello

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Maria Ianniciello

Mi chiamo Maria Ianniciello. Il mio nome intero è però Ianniciello Maria Carmela ma per comodità mi firmo solo Maria. Sono iscritta all’Ordine dei Giornalisti della Campania dal 2007, nell’elenco dei Pubblicisti. Laureata in Lettere (vecchio ordinamento) con il massimo dei voti presso l’Università di Roma Tor Vergata, ho dedicato gli ultimi vent’anni della mia carriera allo studio dei nuovi e dei ‘vecchi’ Media. Nel 2008 ho fondato questo portale dove tuttora mi occupo di analisi del linguaggio cinematografico, televisivo ed editoriale (saggi, libri per bambini e romanzi). Ho lavorato per testate giornalistiche dell’Irpinia e del Sannio, curando anche uffici stampa. Nel 2018 mi sono diplomata in Naturopatia a indirizzo psicosomatico presso l’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica di Milano, diretto dal professor Raffaele Morelli. Ho conseguito poi il Master in Lettura del Corpo mediante la Psicosomatica nel 2019 con la dottoressa Maria Montalto. La conoscenza della Psicologia (disciplina a cui sto dedicando gran parte delle mie ricerche) mi permette di esaminare i nuovi e i vecchi Media con un approccio integrato e molto innovativo.

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