Educazione Fisica, il film di Stefano Cipani

Educazione fisica: recensione del film

Stefano Cipani, per girare il suo nuovo film Educazione fisica, ha preso spunto dai titoli di giornali che sempre più spesso mettono in evidenza lo strappo che si è venuto a creare tra la Scuola e i genitori, i quali sembrano voler giustificare e proteggere i loro figli sempre.

Il regista di Mio fratello rincorre i dinosauri racconta una storia dove non esiste possibilità di redenzione. I personaggi sono delle caricature grottesche di un lato dell’italianità. I primi piani ne mettono in evidenza le spigolosità, i profili esasperanti, le ossessioni. I volti sono espressione di una tendenza, di più luoghi comuni che prendono forma mediante le parole. Gli abiti raccontano le loro storie, i loro fallimenti, le loro mortificazioni, i loro egocentrismi, i loro successi.

La preside (Giovanna Mezzogiorno) arriva in ritardo ed indossa scarpe da ginnastica. E’ già uscita dal suo ruolo o forse non vi è mai entrata? E’ già pronta a darsi alla fuga? La dirigente ha convocato i genitori di tre studenti in palestra, un luogo dove i corpi possono muoversi liberamente, dove i ruoli possono essere scavalcati, infranti, rovesciati. La palestra non è la presidenza, è un’area non protetta.

Il primo ad arrivare è il ricco agente immobiliare Franco Zucca (Claudio Santamaria). Viene seguito dalla sua amante, Carmen Majano (Raffaella Rea) che è madre di un altro studente della scuola avuto dal suo ex marito che l’ha abbandonata (almeno così dice lei). Dopo un po’ arrivano i genitori del terzo ragazzo. Rossella (Anna Finocchiaro) e Aldo Stanchi (Sergio Rubini) sono genitori adottivi, hanno un cane, vivono in campagna e formano una coppia semplice anche nell’abbigliamento che ne mette in risalto la classe sociale. Lui lavora in pronto soccorso, all’accettazione.

Quando la preside comunica loro che i tre ragazzi hanno violentato una compagna di classe ripetutamente, i quattro non solo negano l’accaduto ma tentano anche di far cadere la colpa sulla vittima, proprio come talvolta si verifica sui social, in tv, nei bar, sui giornali. Così esercitano pressione sulla donna, affinché quest’ultima non denunci alla polizia il reato, perché non vogliono assumersi le loro responsabilità né danneggiare i loro figli che intanto giocano spensierati fuori dalla palestra.

Qualcuno di loro guarda il proprio ‘bambino’ da una finestra della struttura; in questo modo proietta sul ragazzo (che non vediamo mai) un’immagine patinata, non autentica, filtrata, un po’ come facciamo con lo schermo dell’i-Phone attraverso il quale pretendiamo di conoscere gli altri esprimendo giudizi e sentenze, assolvendo o condannando.

Cipani ci narra una vicenda surreale che si svolge tutta in un unico ambiente chiuso, come in un’opera teatrale. Difatti la sceneggiatura di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo si basa sulla pièce, La palestra, di Giorgio Scianna.

In 88 minuti si consuma lo psicodramma. Le emozioni prendono forma, la rabbia predomina, le menti si annebbiano e l’incredulità diventa cattiveria. Quindi può non piacere l’immagine stereotipata, estremamente abbruttita e mostruosa, che Stefano Cipani in Educazione Fisica conferisce a questi genitori. Di conseguenza ogni frase e ogni azione in questo film possono risultare inverosimili, esagerati, esasperanti.

Eppure la Settima Arte è chiamata a portare all’estremo anche i luoghi comuni per farci vedere cosa accade quando non ci sono più freni inibitori. Come in I nostri ragazzi (2014) di Ivano De Matteo, anche qui infatti si estremizza una tendenza, ovvero l’eccesso d’amore di molti genitori italiani che, per non ripetere gli sbagli dei loro predecessori, sono diventati infantili, iperprotettivi, malleabili e di conseguenza irresponsabili. Tre stelle per questo film. Maria Ianniciello

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