La questione del velo in Francia tra leggi e paure

Young arabian woman in hijab with sexy blue eyesIn Francia il dibattito sull’uso del velo ha letteralmente spaccato in due l’opinione pubblica; da una parte i favorevoli a tale accessorio, per i quali il suo utilizzo è sinonimo di libertà individuale, dall’altro i contrari che, invece, vedevano nel velo uno strumento di coercizione e sottomissione femminile, ma anche un simbolo in palese contrasto con la laicità dello Stato.

La questione del velo è ancora oggi molto discussa dai “cugini” d’Oltralpe e non solo per i motivi storici legati alla colonizzazione, ma anche perché in Francia ci sono circa quattro milioni di musulmani, cioè la più grande comunità islamica d’Europa, secondo i dati riportati nel libro di Renata Pepicelli “Il Velo nell’Islam”, Carocci, 2012. Il dibattito, come ben sappiamo dalla cronaca, ha prodotto due leggi: una del 2004 che vieta l’uso del velo nelle scuole, l’altra del 2011 che lo bandisce da tutti i luoghi pubblici in nome della sicurezza e della laicità.

A questo punto, però, è necessaria una precisazione: la legge del 2004 non vieta solo il velo integrale, ma l’ostentazione di tutti i simboli religiosi visibili. Sono, quindi, proibite croci, kippah e qualunque altro emblema possa essere riconducibile a una precisa appartenenza religiosa. Per i contrari, però, questi provvedimenti rappresentano una discriminazione vera e propria che non tiene in considerazione il parere delle dirette interessate.

In effetti, forse, la nascita della legge si è basata sul presupposto che l’uso del velo sia automaticamente imposto alle donne dalle famiglie quando, occorre ricordarlo, a volte è una libera scelta. Di fatto, però, tale presupposto dovrebbe essere tenuto separato dal dibattito sulla laicità, in quanto si tratta di due argomenti diversi, anche se collegati in questo caso.

Le conseguenze di queste leggi sono state l’espulsione dalle scuole degli studenti che si rifiutavano di togliere i simboli religiosi in evidenza, ma in molti si sono chiesti se misure del genere non abbiano minato il diritto allo studio di questi ragazzi e alla possibilità di interagire con coetanei di religioni diverse in un ambiente democratico.

La questione del velo in Francia non può essere vista da una sola angolazione e, secondo i favorevoli al divieto, il provvedimento del 2011 mirava a garantire proprio l’incolumità dei cittadini e l’uguaglianza delle donne e degli uomini di fronte allo Stato e nella società. Tale parità, dunque, verrebbe incrinata dal velo, che rappresenterebbe la negazione della possibilità di girare per strada a volto scoperto senza paura di nulla.

Dal punto di vista della sicurezza la non riconoscibilità di una donna che usa un velo integrale potrebbe creare problemi giuridici di identificazione qualora ve ne fosse la necessità. Il velo è da molto tempo al centro della controversia tra favorevoli e contrari che hanno caricato questo accessorio di simboli, paure, o ne hanno fatto emblema di libertà di scelta. Già le pioniere del femminismo arabo guardavano a questo pezzo di stoffa come a un mezzo con cui veniva perpetrato il dominio patriarcale nelle società islamiche o, al contrario, come strumento di identità religiosa, di scelta personale che, comunque, teneva conto delle radici culturali, sociali e religiose.

In questo discorso rientra anche un certo timore nei riguardi dell’Islam, che si articola, soprattutto, nel binomio tolleranza/intolleranza religiosa. Il problema, però, è riuscire a tenere separati da queste paure la legge, la democrazia e la laicità. Questo breve articolo non vuole certo discutere sulla validità dei provvedimenti francesi in merito, ma porre in evidenza due modi di guardare distinti all’uso/divieto del velo e mostrare come nel dibattito, sia da una parte che dall’altra, siano entrati fattori di giudizio che hanno ulteriormente complicato la questione. Il dibattito non appartiene più solo al mondo arabo-islamico, ma anche a quello occidentale per due motivi: le musulmane di cui parliamo sono cittadine francesi (e qui rientra anche la discussione sull’identità del Paese d’origine e quella francese, sui punti d’incontro e quelli di rottura); inoltre, come giustamente precisa Renata Pepicelli nel suo saggio già citato, la legge francese riguarda una minoranza delle musulmane di Francia.

Ricordiamo sempre che non tutte le donne di questa religione usano il velo e che ogni regione ne ha un tipo diverso. Al di là della spaccatura dell’opinione pubblica francese, però, la Francia rimane la nazione europea che si è spinta più in là di tutte le altre nel vietare l’uso di simboli religiosi, seppur tra polemiche che sembrano infinite.

In situazioni come queste il confine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è può risultare labile ma, qualunque siano i provvedimenti che la Francia e le altre nazioni europee prenderanno in futuro in merito a questioni analoghe, ciò che più conta è evitare inutile, se non dannose, strumentalizzazioni.

Francesca Rossi

 

 

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