Donne che tacciono, donne che scrivono

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Hanan Al-Shaykh

Le parole “donna araba” evocano un’immagine ben precisa nella nostra mente, frutto di una concezione a volte distorta o, comunque, incompleta del mondo arabo islamico. Subito pensiamo a una figura velata, sottomessa, magari prigioniera di un harem, occhi languidi e atteggiamento passivo di chi sa che non esiste via d’uscita e si rassegna a un futuro già scritto e deciso da altri, gli uomini.

E se vi dicessi che la situazione è molto più sfaccettata di così? Non possiamo negare che i problemi relativi all’emancipazione femminile nel mondo islamico esistano e siano anche difficili da risolvere. Il caso di Malala, a cui questo piccolo spazio è dedicato, non è che l’ultimo esempio in ordine di tempo.

Sulle questioni riguardanti l’istruzione femminile, il velo o la poligamia, potremmo parlare per ore e molti tristi avvenimenti in proposito sono sotto gli occhi di tutti. Eppure non tutte le donne tacciono e chinano il capo. O meglio, alcune lo fanno, ma per scrivere e, a quel punto, la voce delle parole diventa più forte e salda di quella umana, valica confini arrivando a spezzare catene d’acciaio.

La scrittura è un mezzo per far conoscere una situazione o un modo di vivere o una storia, mettere nero su bianco ciò che si sente nel cuore e si vive tutti i giorni. Le narratrici arabe sono formidabili nel raccontare il loro mondo; sanno percepire con acume ciò che, spesso, gli sguardi distratti e frettolosi di altre donne e uomini di qualunque religione non prendono in considerazione, riescono ad interpretare ciò che accade da prospettive nuove, regalando ai lettori romanzi e racconti capaci di intrattenere e far riflettere allo stesso tempo.

Sono donne colte, cosmopolite, intelligenti e brillanti che aspirano alla completa emancipazione femminile senza rinnegare l’ambiente in cui sono cresciute. Alcune non vedono contraddizioni tra la libertà e l’Islam, altre tentano di comporre quelle che considerano delle “crepe” tra la vita moderna, l’Occidente, l’Islam e le donne dovute ad una scorretta interpretazione del Corano.

I temi che affrontano nei loro romanzi o nei racconti non riguardano solo il rapporto con gli uomini e tutti i problemi ad esso connessi (come la già menzionata poligamia, ad esempio), ma scavano molto più a fondo, analizzando il valore delle leggi e delle tradizioni ai nostri giorni, il contesto politico e storico da cui sono nate le nazioni moderne e il ruolo che la donna ha avuto in questa complessa costruzione di un’identità sociale, politica e religiosa. Queste autrici non “descrivono” la vita in un harem, ma la mostrano, penetrandone i risvolti psicologici, giuridici, umani. I ritratti di donne presentati al lettore non mostrano i contorni netti della sottomissione, ma quelli più sfumati di menti piene di sogni e aspettative, coltivate con costanza e determinazione nonostante le difficoltà quotidiane.

Fatima Mernissi
Fatima Mernissi

Non creature passive, dunque, ma guerriere che cercano una via d’uscita ai loro problemi, eroine o donne normali che siano. Lo stile delle scrittrici arabe è sempre molto personale, inimitabile, talvolta intimo ma mai monotono. Quest’ultima precisazione mi sembra doverosa dal momento che molte volte mi è capitato di imbattermi in persone che mai e poi mai avrebbero letto un libro di un autore arabo (uomo o donna) perché giudicato “pesante”. Non mi soffermo sulle radici di quello che è solo un pregiudizio, ma vi consiglio, invece di leggere i libri di autrici arabe tenendo conto di un elemento importante, la lingua in cui le opere sono state scritte. Alcune intellettuali, come le famose Fatima Mernissi e Assia Djebar, scrivono in francese, la lingua della colonizzazione e questo si riflette nei temi e nello stile. La lingua può essere uno strumento di libertà, ma anche una sorta di gabbia che riflette una identità scissa per cause storiche e sociali. Altre, invece, scrivono in arabo, come Hanan Al-Shaykh (Donne nel Deserto) o Ahlam Mosteghanemi (La Memoria del Corpo).

Sono due modi di scrivere diversi, ma non ne esiste uno “migliore” dell’altro. La questione, semmai, è tutta nell’idioma usato che può dare la percezione di un avvicinamento o di un allontanamento dai temi e dalle storie trattate. Vi “sfido” a leggere le opere delle autrici citate e a ricavarne delle impressioni sullo stile anche in base alla lingua usata. Credo che vi sorprenderanno.

Torneremo a parlarne in modo più approfondito nei prossimi post.

Francesca Rossi

 

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