Le origini del male, l’horror che non brilla di genialità creativa

locandina le origini del maleJoseph Coupland, professore alla Oxford university, è convinto che dietro i fenomeni di possessione demoniaca ci sia una spiegazione razionale che contempla energie elettrostatiche in sovraccarico. Forte delle sue poco canoniche teorie che lo allontanano dagli ambienti accademici conservatori, si dedica a un esperimento con una cavia in preda a deliri paranoici e a bipolarismo schizoide. Jane è convinta di essere infestata da un’entità malvagia che chiama Evey e nascosta spesso in una bambola. Insieme al docente di parapsicologia ci sono due suoi assistenti, Harry e Krissi, mentre Brian, giovane operatore, è reclutato per filmare il tutto. Dopo aver visionato filmati di repertorio, i tre allievi scoprono che in passato Coupland ha già avuto a che fare con gli stessi fenomeni paranormali scatenati dal misterioso ragazzino David Q. e da una fantasmatica presenza chiamata Mr. Gregory. La vicenda si complica non appena un alone di morbosità cala sul rapporto tra Jane e Brian e l’unica soluzione è scavare nel passato della ragazza e risalire così alle “origini del male”. L’esordio di John Pogue, non era stato un inizio col botto, soprattutto per via del troppo inflazionato marchio di fabbrica horror a cui si era dedicato. Aveva messo mano nel 2011 al franchising apocalittico del “disaster movie”, girando “Quarantena II”, sequel del remake di “Rec” degli spagnoli Balaguerò e Plaza. Pur mancando di trovate originali, si era distinto per un uso centellinato della suspense e per lo sviluppo ordinato ed efficace delle linee narrative, grazie ad un sapiente lavoro di cesello sullo script e a un andamento tanto più privo di sbalzi temporali, quanto più coinvolgente e diretto. Un piglio più autoriale e meno commerciale lo troviamo in questo suo secondo lungometraggio, “The Quiet Ones” in originale, vicino per le atmosfere sinistre e per la classica casa infestata ai vecchi film britannici della Hammer e per questioni stilistiche al moderno “found footage horror” con tanto di inquietanti soggettive con tremolante camera a mano. Nonostante si mantenga un certo manicheismo stereotipato fra i protagonisti (l’operatore buonista, i due allievi scanzonati, il professore arcigno) risalta sulla scena l’interpretazione dolorosa di Olivia Cooke, capace di far muovere gli oggetti come la “Carrie” di Stephen King o di scatenare incendi ovunque. La presenza maligna che la abita non è benefica come “Tony” per Danny in “Shining”, ma è più simile al “Capitan Gaio” che ne “L’Esorcista” è in realtà il demone di prima classe Pazuzu. Cosa si cela dietro i poteri telecinetici di Jane? Fenomeni elettrostatici spiegabili con la scienza o potenze infere di inusitata ferocia? Con l’armamentario classico di ordigni che abbiamo incontrato fin da “Gli invasati” e ritrovato di recente in “The Conjuring” e “Oculus”, i quattro “ghostbusters” cercano di svelare il mistero che mette in pericolo le vite di tutti. Inizio accattivante, intermezzo con ottime trovate sceniche e qualche banalità di troppo, finale volutamente ambiguo come tanti horror dello stesso filone. Il film di Pogue non brilla per genialità creativa, essendo un compendio di altri film di genere, ma si regge su un impianto stilistico collaudato (video amatoriali e inserti di repertorio in bianco e nero) ed è caratterizzato da un grave realismo che spaventa e mantiene sempre, nella claustrofobica e spettrale dimora dell’esperimento, crescente tensione e irrequiete atmosfere.

Trailer: http://youtu.be/DHsXu2QQWP0

 

                                                                                                              Vincenzo Palermo

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