The Congress, la recensione del film

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A cinque anni di distanza dall’acclamato “Valzer con Bashir”, il regista israeliano Ari Folman torna a parlare della crisi esistenziale dell’individuo, questa volta raccontando la follia lisergica di un mondo distopico, tra deliranti cartoons e attori in carne e ossa. Un monumentale affresco fantapolitico di straordinario impatto visivo che trasporta lo spettatore in un universo variopinto e ipnotico, grazie al potere incantatorio delle sequenze filmiche, mai come in questo caso veicolo di emozioni in caduta libera.

The congress poster

 A stare sempre in alto sono invece gli aquiloni di Aaron, stagliati in cielo come la sua propensione alla vita, nonostante sia affetto dalla sindrome di Usher. La madre Robin (Wright) interpreta se stessa, un’attrice sul viale del tramonto a cui il proprio manager propone un’ultima e definitiva chance. Dopo molti progetti cinematografici falliti, l’abbrutito squalo degli studios Miramount le concede il “siero della vita eterna”: diventare ella stessa un’immagine digitale, fruibile a proprio piacimento dagli spettatori. Icona universale e totalizzante, scrigno magico in cui è contenuta l’intera sua gamma emozionale. In virtù di questa trasformazione tecnologica, Robin Wright diventerà eroina di “Triplo 3” e altri innumerevoli film senza dover più recitare, perché il suo corpo e la sua anima sono divenute un programma avanzato per computer, pervasivo e onnipresente. Ma qualcosa non va come dovrebbe. Invitata come madrina al “Congresso futurista” di Abrahama, in cui scenari e personaggi sono tutti disegni animati, si troverà sbalzata tra un mondo tossicologico che vive di emozioni artificiali e la vecchia patria depositaria della verità, dove alla libertà allucinogena, la gente preferisce un rassegnato oblio. L’ambizioso e riuscitissimo progetto che prende spunto dal racconto di Stanislaw Lem “The Futurological congress”, è uno strano e bellissimo ibrido tra la canonica sci-fi distopica, da cui riprende universi alternativi e realtà sociali rovesciate e l’action movie tipicamente moderno. Un sorprendente connubio carnevalesco di suoni, forme e colori sgargianti, quasi una nuova ma più crudele “Cartoonia”. Alla trama noir di “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, Folman sostituisce un intreccio che mescola suggestioni futuristiche e intelligenti riflessioni metacinematografiche. L’attore, digitalizzato e “cartoonizzato”, perde la propria identità e la propria dimensione professionale attraverso un semplice accordo: la vendita della sua immagine e lo sfruttamento della stessa. Si prospetta la fine di un’era, quella della recitazione “in praesentia” per lasciare il posto a cloni realizzati in provetta e serializzati. Non più “green screen” e “motion capture” dunque, che pure oggi presuppongono la presenza dell’interprete inserito in ambientazioni fittizie o avvinghiato dalla stretta tuta in velcro che trasmette i suoi movimenti alla macchina. Analisi incredibilmente attuale delle nuove rivoluzioni della tecnica. Se in “Her” a mancare erano i corpi e le loro rappresentazioni, in “The Congress” l’elemento principe è proprio il parossistico vortice di effigi e icone capitalizzate per raggiungere massimi profitti. I protagonisti sono brutalizzati dalla vita o distrutti da drammi familiari. Robin è infatti attrice, ma prima di tutto madre e la partecipazione al congresso si trasforma lentamente in un percorso iniziatico che la condurrà alla ricerca del figlio. “The Congress” si presta a molteplici letture e sconfina nei più svariati generi cinematografici, dal cartoon movie irriverente (e di denuncia) alla science fiction più ortodossa, dal thriller fantapolitico al melò d’avanguardia. Irresistibile e affascinante, riesce ad arrivare “là, dove nessuno è mai giunto prima”, oltre le galassie “fisiche” solcate dalla nave stellare Enterprise, in una terra di nessuno che confonde sogno e realtà.

Trailer: http://youtu.be/vsb_XXnR8dY

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Vincenzo Palermo

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