In Ave Mary Michela Murgia spiega come la Chiesa inventò la Donna

La Maria dei Vangeli non corrisponde all’immagine della Madonna profusa nel Cattolicesimo, il quale si servì dell’Arte (gli artisti erano gli esperti di marketing di oggi) per veicolare una versione patinata, servizievole e accomodante della Madre di Gesù. Questa è la tesi che Michela Murgia ha esposto nel saggio ‘Ave Mary. E la Chiesa inventò la Donna’. Edito da Einaudi, il libro si presenta come un volume agile nell’aspetto.

L’autrice sarda esplica la sua tesi con uno stile raffinato e un linguaggio forbito dimostrando che la Chiesa cattolica, nel mettersi al servizio del Patriarcato, ha voluto deliberatamente diffondere un modello distorto di Maria affinché le donne si identificassero nella Madonna creata dalla Chiesa, in un tempo in cui non era consentito ai fedeli – che erano per il 99 per cento analfabeti – leggere le Sacre Scritture nella loro lingua madre.

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Prima del Concilio Vaticano II, la Messa era in Latino e i fedeli potevano trovare un punto di contatto col Trascendente solo attraverso i dipinti e le sculture. Michela Murgia parte dall’immagine negativa data a Eva che – siccome è stata considerata la principale responsabile per l’allontanamento dal Paradiso terrestre – ha condannato le donne a una costante colpevolizzazione.

Maria di Nazareth, per la Chiesa Cattolica, pone rimedio alla disobbedienza di Eva collocandosi ai piedi della croce. Di conseguenza le donne, come la Madre di Gesù, diventano spettatrici del dolore altrui, che sia quello di un marito o di un figlio o di un fratello poco importa. Il dolore femminile in quanto tale passa sempre mediante il dolore dell’Altro, perché in se stesso e per se stesso è come se non avesse motivo di esistere. Le donne quindi non si collocano sulla Croce con Cristo ma ai suoi piedi come spettatrici.

In Ave Mary Murgia sostiene invece che la Maria dei Vangeli è attiva e va incontro al proprio destino con consapevolezza perché nella Giudea del I secolo l’Angelo del Signore appare a una donna e le chiede, non le impone, di diventare la Madre di Cristo. Il Signore avrebbe potuto obbligarla rivolgendosi a un uomo della sua famiglia, per rispettare la tradizione del tempo (le donne non avevano nessun diritto) invece manda l’Angelo direttamente da lei. Ma non solo. Maria esprime il suo diritto al consenso, dicendo sì, e poi si confida con un’altra donna, Elisabetta. Quando ritorna a Nazareth, ha già il pancione. Maria non è dunque una figura passiva. I Vangeli dimostrano tutt’altro, dice Michela Murgia smontando così gli stereotipi sulla Madonna e di conseguenza sulle donne. In tal senso l’immagine della Madre di Gesù è molto sovversiva.

Ave Mary è un libro che ogni donna dovrebbe leggere per sentirsi non una cosa di proprietà del patriarca bensì un individuo dotato di intelletto, un essere umano insomma, che può ambire alla piena autonomia. Maria Ianniciello

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