Tom Hanks è captain Phillips, la recensione del film

“Dite a Kelly Frears che l’amo” (Cast away)

“Dite a mia moglie che l’amo” (Captain Phillips – Attacco in mare aperto).

Captain-Phillips-Attacco-in-mare-aperto-680x365L’intensità è la stessa, ma il contesto e la storia cambiano. Cast away è stato un successo planetario, mentre per Captain Phillips – Attacco in mare aperto, diretto da Paul Greengrass e uscito in Italia il 31 ottobre 2013, sarà il tempo a decretarne il valore. Sono due pellicole completamente diverse che ho voluto paragonare perché le suddette battute – famosa la prima meno popolare (solo per una questione cronologica) la seconda – sono state interpretate entrambe da Tom Hanks, con la medesima maestrìa. L’attore americano nella pellicola di Greengrass veste i panni del capitano Phillips che nel 2009 era al comando della nave mercantile U.S.A. Alabama, presa in ostaggio da una banda di pirati Somali nelle acque dell’Oceano Indiano. Il film si basa dunque su una vicenda realmente accaduta che Capitain Phillips ha raccontato in un suo libro. Il regista di The Bourn Ultimatum (2007) e di The Bourne Supremacy (2004), dopo tre anni di assenza dal grande schermo, gira una pellicola con tecnica tipicamente giornalistica, da reportage, dimostrando ancora una volta di essere un maestro del thriller. L’obiettivo, che è stato pienamente raggiunto, era quello di dare voce a due mondi completamente diversi che s’incontrano su una nave. Le prime scene, girate sulla terra ferma, ci fanno conoscere sia i “buoni” (il contesto da cui proviene captain Phillips), sia i cattivi, cioè i piriti somali che successivamente, scheletrici e con armi in spalla, a bordo di scafi, tentano per due volte consecutive di dirottare la nave. La prima volta i pirati falliscono grazie all’abilità del capitano che riesce a seminarli, ma il giorno successivo l’Alabama non ha via di scampo. Le sequenze seguono il ritmo della narrazione, diventando sempre più incalzanti quando gli avvenimenti si tingono di suspance. La crime story,  girata interamente in pieno Oceano, mette in evidenza lo straordinario talento di Hanks che mostra ancora una volta una particolare attitudine per le scene drammatiche, la cui interpretazione viene curata nei minimi dettagli ed è il frutto di anni di esperienza e di studio. A questo punto il confronto tra le due parti in causa si fa serrato, come si evince dai primi piani, nei quali si nota la tensione dei volti sia del comandante della porta container sia di Muse, il capo dei pirati.

«Ehi! Guarda me, ora sono io il comandante», dice Muse con sguardo gelido. La telecamera lo inquadra da una media distanza. Non lo conosciamo, dobbiamo capire chi è e quali sono le sue ragioni. Subito dopo la macchina da presa ci fa vedere, in un primo piano, il viso teso del comandante Phillips che riesce, nonostante la situazione di pericolo, a controllarsi. Il suo mondo è familiare e noi siamo dalla sua parte, da subito.

Un film, dunque, ben riuscito. Da vedere. Una pellicola che in due ore fa un ritratto non solo di quanto è accaduto nel 2009 ma anche e soprattutto degli effetti collaterali della globalizzazione, dando un’altra entità  alla pirateria che esce dal genere fantasy, romantico e irreale, per esibire la sua anima violenta. I pirati sono interpretati da attori somali, del tutto sconosciuti, che hanno visto l’intero cast solo quando sono saliti sulla nave per girare le scene del dirottamento. Una scelta fatta per conferire al film pathos e veridicità…

Maria Ianniciello

 

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