Piccola patria, Rossetto e gli equilibri tra finzione e realtà

Maria Roveran e Roberta Da Soller © la Biennale di Venezia - Foto ASAC
Maria Roveran e Roberta Da Soller © la Biennale di Venezia – Foto ASAC

Nell’ambito della rassegna cinematografica intitolata “Venezia a Napoli – Il cinema esteso” è stato presentato, ieri sera, presso il cinema Astra di Napoli, il film “Piccola patria” di Alessandro Rossetto che è stato in concorso nella sezione Orizzonti durante la 70 ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. L’opera rappresenta il primo lungometraggio di finzione di Rossetto dopo anni di attività documentaristica e sarà ufficialmente distribuita nelle sale cinematografiche di tutta Italia all’inizio del 2014.

Il film è ambientato in un triste e cupo nord est d’Italia agricolo e operaio. Il Veneto indipendentista e xenofobo rappresenta una piccola patria che potrebbe essere dovunque. Due giovani e ribelli ragazze Luisa (Maria Roveran) e Renata (Roberta Da Soller), lavorano in un hotel della zona e sono legate da un’amicizia piuttosto ambigua. Le due giovani scapigliate si rendono protagoniste di una storia fatta di ricatti, perversioni e amori traditi, creando così, il filo conduttore di una serie di microstorie collegate. L’unica vera vittima del film è Bilal, il fidanzato albanese di Maria che, del tutto all’oscuro dei piani della ragazza, sarà il suo inconsapevole strumento di “lavoro”. La sceneggiatura del film, firmata da Rossetto con la collaborazione di Caterina Serra e Maurizio Braucci, presente ieri sera in sala, è alquanto scarna, sono tanti i momenti lenti e istantanee di vite disperate si susseguono, una dopo l’altra, gettando lo spettatore in un vortice di sensazioni avvilenti.

Realtà e finzione si mescolano al punto da non riuscire a capire dove e quando ci sia l’una oppure l’altra. La ricerca e la creazione dei personaggi s’incontra e si scontra con la loro capacità di improvvisazione, la rassegnazione e l’inerzia degli adulti, crea, inoltre, un ulteriore conflitto che non è più soltanto tra autoctoni e stranieri ma anche generazionale.

Scandito da una bellissima tracklist, comprensiva di due opere tradizionali come “L’Aqua ze morta” e “Joska la rossa” il film è recitato in dialetto veneto e in albanese, due lingue che convivono senza integrarsi. Capannoni industriali, terreni agricoli sono, infine, gli elementi di una terra in cui campagna e città faticano ad incontrarsi creando una lacerazione evidente.

Alessandro Rossetto © la Biennale di Venezia - Foto ASAC
Alessandro Rossetto © la Biennale di Venezia – Foto ASAC

Nel commentare il film, il regista Alessandro Rossetto ha spiegato: « Ho scritto la prima versione della sceneggiatura sapendo che sarebbe cambiata nel corso delle riprese. Maurizio Braucci e Caterina Serra hanno fatto un lavoro sul campo mentre le mie riprese sono state lunghe con un lavoro giornaliero di revisione continua.  Il lavoro con gli attori è stato molto interessante, continua Rossetto, filmavo ciò che accadeva come in un documentario ma ho mantenuto sempre una certa distanza dai corpi cercando di ampliare il più possibile il quadro cinematografico per evitare che il film si attaccasse troppo ad essi». Dello stesso parere anche lo sceneggiatore Maurizio Braucci: « Il regista dà la forma alle cose, Alessandro ha avuto la capacità di servirsi dell’incontro con le cose, le persone, gli ambienti ed è stato molto coraggioso ad avventurarsi in una produzione con un budget di 950000 euro ed il risultato è stata una perfetta identificazione tra il territorio ed i personaggi».

 Raffaella Sbrescia

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