Self Made: recensione. La serie tv è su Netflix

Qualcuno sostiene che le serie tv siano un po’ come i racconti dei cantastorie che poi sono stati trasformati in fiabe e in favole per l’infanzia. Con un linguaggio archetipico, che si rivolge direttamente al nostro inconscio, parlando per simboli, le serie hanno sostituito, infatti, anche se non del tutto, i romanzi. Ed è per questo che le guardo con particolare interesse cercando prodotti che affrontano in particolare la questione dell’emancipazione femminile. Ad ogni modo il mio occhio meticoloso proprio ieri è caduto su Self Made: la vita di Madam C.J. Walker. Cosa dire allora? Tralasciando la forma, mi sono interessata in particolare alla sostanza e dunque al messaggio della miniserie di Netflix che narra una storia vera di successo e ostacoli da superare. (N.B. La versione audio della recensione di Self Made è in calce)

Self Made, recensione della serie tv

La protagonista (Olivia Spencer) di Self Made è una lavandaia di colore, non proprio appariscente. Il suo aspetto insomma non le rende giustizia ma Sarah ha un grosso fiuto per gli affari e la sua motivazione cresce dopo che una donna – che le ha fatto un trattamento per rafforzare i capelli diventati fragili – la tratta come se fosse uno straccio vecchio. Decide così di creare un prodotto per i capelli delle afroamericane e non senza poche difficoltà raggiunge un successo straordinario creando un’azienda dal nulla. La sua visione è chiara, il suo sogno forte. «Non so come l’ho sognato ma nulla al mondo avrebbe potuto fermarmi», dice. Madame Walker deve tuttavia fare i conti con il contesto in cui vive, con la sua antagonista e con un marito che non accetta che lei non rispetti il modello di moglie ideale, tutta dedica alla casa e alla cucina.

Come fece Luisa Spagnoli in Italia, anche Sarah purtroppo dovette sfruttare il cognome (nel suo caso anche il nome) del marito per ottenere prestigio e riconoscimento sociale in un mondo costruito per e sugli uomini. Self Made ci mostra, dunque, questo e molto altro senza dimenticarsi di evidenziare quanto sia necessario ciò che lasciamo in eredità ai posteri.

Un ritmo cadenzato con un tema forte

La regia non è priva di sbavature, la sceneggiatura non mi convince del tutto. Sarah avrebbe meritato di più. Per esempio nella serie non si evince né il suo lato filantropo né il suo amore per l’arte. Eppure questo prodotto mi ha appassionata. Lo ha fatto grazie al suo ritmo cadenzato, sciolto, dinamico proprio come la mente della protagonista che non si ferma mai tanto è chiara e forte la propria missione.

Self-Made

Insomma Self Made non vuole essere un racconto appiattito della vita di Madame C.J. Walker, mira piuttosto a lanciare un messaggio chiaro e diretto, così come fa Michelle Obama nel suo libro diventato documentario.  

Il contesto di Self Made

Siamo nella prima metà del Novecento, la schiavitù è ancora un ricordo vivo nella mente degli afroamericani che fanno i conti con la segregazione razziale ma questo nella serie si vede poco. I bianchi, infatti, compaiono due o tre volte perché ciò che interessa è l’emancipazione femminile e non ha importanza che queste donne siano di colore, perché i loro problemi sono ancora oggi anche i nostri. Dopotutto farsi spazio in un mondo imprenditoriale maschile è difficile adesso quanto all’epoca. Eppure bisogna perseverare. Per Sarah infatti ogni ostacolo è una sfida e ogni sfida è un’occasione per far emergere talento e valore. Lei si perde a volte dietro alla smania di grandezza di un ego che chiede spazio e riconoscimento ma, quando ritorna in Sé, tutto diventa più chiaro. Self Made è diretta da  DeMane Davis e Kasi Lemmons. (Maria Ianniciello)

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