Islam e donne, la questione del velo in Italia

donna con velo
Foto di Fotolia

Nell’articolo del mese scorso si è parlato delle leggi che proibiscono l’uso del velo in Francia e delle relative polemiche. Il dibattito, però, è piuttosto acceso anche in Italia, sebbene si sia intensificato negli ultimi tre, quattro anni.

La questione, in questo caso, nasce dal rifiuto delle autorità italiane di accettare fotografie per documenti, come il permesso di soggiorno o la carta d’identità, in cui il capo della donna è coperto da un velo. L’accessorio, infatti, non consentirebbe di rendere il soggetto completamente identificabile (per esempio copricapi o veli nascondono il colore dei capelli). Per questo motivo, in seguito alle proteste delle comunità musulmane in Italia, nel 1995 la circolare 4/1995 stabilisce che sono valide foto con il velo o il turbante purché sia ben visibile il volto.

Questa circolare è stata integrata da un’altra, che risale al 2000 e chiarisce che questi accessori completano la fisionomia delle donne e degli uomini che li indossano, in quanto portati regolarmente secondo le prescrizioni religiose.

Nonostante ciò il problema si è riproposto a fasi alterne negli ultimi anni e, alcune volte, le stesse suore cattoliche si sono viste rifiutare le fototessere per gli stessi motivi.

Nel 2006, in seguito a uno scontro durante una diretta televisiva tra l’onorevole Daniela Santanchè e l’imam di Segrate Ali Abu Shwaima si sono riaccesi i riflettori sulla spinosa questione.

Nel 2009, dopo l’assassinio di Sanaa Dafani per mano del padre, l’onorevole Santanchè organizza una manifestazione a Milano, per protestare contro l’uso del velo.

La legge di riferimento, in questo caso, è la legge 152 del 1975 che vieta l’uso di accessori che non rendano possibile il riconoscimento di una persona. Si tratta di una legge, nata negli anni di Piombo, una misura per combattere e arginare il terrorismo.

Tra gli anni Novanta e il Duemila molte donne vengono multate perché trovate a girare in strada indossando il niqab. A queste sanzioni si sono aggiunte anche manifestazioni contrarie all’uso del velo.

Ancora una volta gli schieramenti, principalmente, sono due: da una parte c’è chi è favorevole al velo in quanto l’Italia garantisce la libertà di culto e chi, invece, ribadisce la propria contrarietà in nome dell’emancipazione femminile.

Nel 2011 c’è stata una nuova proposta di legge per modificare il provvedimento del 1975, introducendo il reato di “costrizione all’occultamento del volto” che comporta, in caso di condanna definitiva, l’impossibilità di ottenere la cittadinanza italiana.

Per molti, in realtà, non ci sarebbe nemmeno bisogno di modificare la legge, né di introdurne una nuova, visto che esiste la già citata 152 del 1975.

Il problema, poi, non sta solo nelle formulazione dei provvedimenti, ma anche e soprattutto nelle reazioni e nel pensiero dei favorevoli e dei contrari. Per importanti personaggi come Magdi Allam, giornalista convertitosi al Cristianesimo, o Souad Sbai, Presidente dell’associazione delle donne marocchine in Italia, far passare la proposta di legge rappresenterebbe una vittoria per le donne musulmane, ma per altri si dovrebbe, invece, riflettere sul fatto che molte donne scelgono spontaneamente di indossare il velo.

Anche sul fatto della “scelta”, infine, sono sorte molte controversie, poiché viene fatto notare che per molte musulmane, soprattutto giovani, non è facile sottrarsi all’autorità della famiglia e si dovrebbe ponderare bene il significato di “libertà” quando si tratta un argomento così delicato.

Sulla questione, insomma, si è creata una certa confusione a cui si può far fronte solo con una accurata conoscenza delle leggi italiane (nei loro pregi e nei loro difetti), del significato del velo, della sua storia, dei significati di cui è stato caricato e, cosa fondamentale, del numero effettivo di donne musulmane che indossano il velo integrale evitando, a tal proposito, di confondere un niqab con un burqa.

Francesca Rossi

 

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