Matteo Renzi e il marketing su Twitter: ecco il politico come brand

Intervista a Nello Barile, autore del libro “Brand Renzi. Anatomia del politico come marca” che risponde a molti quesiti sulla figura di Matteo Renzi.

 

La politica è una questione che ci tocca da vicino. Non possiamo far finta di nulla, né tenerla a distanza quando prendiamo consapevolezza degli aspetti negativi. Oggi più che mai è importante conoscere e informarsi, leggere i giornali, capire cosa sta accadendo al mondo, quali personaggi ci guideranno verso il futuro e quali, invece rimarranno nel passato. Il saggio di cui oggi Cultura & Culture vi parla, affronta il tema politico attraverso la rivoluzione digitale che stiamo vivendo e la costruzione dell’immagine pubblica di uno dei politici più discussi in Italia, Matteo Renzi.

Brand Renzi“Brand Renzi. Anatomia del politico come marca” (Egea) è un libro molto interessante, di grande attualità e dallo stile scorrevole che merita di essere letto e richiede la nostra attenta riflessione. Il lettore scoprirà dei punti di vista e delle chiavi di lettura sulla politica moderna, sul governo, sul concetto di popolarità, narcisismo, apparenza e sull’uso dei social media che possono aiutarlo a comprendere non solo il linguaggio della politica moderna (in particolar modo di Renzi), ma anche l’universo complesso, a tratti oscuro dei social network, su cui non siamo mai abbastanza informati e consapevoli.

La figura del premier Matteo Renzi è il fulcro attorno a cui ruota l’intero saggio: la sua ascesa, le promesse mantenute e quelle non mantenute, il suo rapporto con i media, la costruzione della reputazione online, il divario tra gli annunci renziani e la realtà del Paese. Chi è Matteo Renzi? Come ha raggiunto i vertici del potere politico in Italia? Cosa pensano di lui nel nostro Paese e all’estero? Come ha usato i media e quali sono i vantaggi e gli svantaggi della sua strategia mediatica? A tutte queste domande risponde, nel saggio, Nello Barile che nella seguente intervista ci spiega alcuni concetti chiave di “Brand Renzi. Anatomia del politico come marca”; una chiacchierata a tutto tondo sul mondo di oggi, sulle contraddizioni della politica, sulla creazione di un vero e proprio “Brand di Renzi” basato sulla messa in scena continua del personaggio grazie a una minuziosa e attenta cura dell’immagine proposta al pubblico, alla fine arte della diplomazia e al ruolo dell’Italia in Europa.

Barile è un esperto in materia: ha insegnato in IULM “Cambiamento sociale e consumi culturali”, “Comunicazione audio visuale” alla Link-Campus University of Malta e “Organizzazione della moda” presso la Facoltà di Scienze Umanistiche all’Università “La Sapienza”, dove si è anche laureato presso la Facoltà di Sociologia in “Comunicazione e Mass Media” e ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Scienze della Comunicazione”.

Oggi insegna “Introduzione ai media e sociologia dei processi culturali” nel Corso di Laurea in “Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa” e coordina il “Master in Management dei processi creativi” alla Iulm.

 

Matteo Renzi su Twitter
Matteo Renzi su Twitter

Come è nata l’idea di scrivere “Brand Renzi. Anatomia del politico come marca”?

 Si è trattato di un’idea inattesa; mi occupo di ricerche su brand communication e mode, ma ho già affrontato il discorso politico nei miei precedenti libri. Mi è stato chiesto di scrivere un articolo su Renzi e da lì ho notato che il discorso su di lui poteva essere ampliato fino a trarne un libro. Con il mio editore, Egea, abbiamo deciso di dar vita a questo instant book, che ho scritto tra aprile e agosto. Il libro fotografa la fase ascendente del governo Renzi, ovvero il momento in cui il premier aveva una forte presa sull’opinione pubblica, tanto da proporre il provvedimento degli ottanta euro e presentato il programma dei cento giorni durante i quali avrebbe dovuto riformare lo Stato. Da febbraio i media come La Repubblica si mostrarono benevolenti verso di lui, apprezzando la sua voglia di concretezza e il “velocismo” che sembrava contraddistinguere la sua azione politica. Da luglio, invece, il governo dovette affrontare la fase più critica, i segnali dell’autunno caldo che sarebbe arrivato di lì a poco. In quel momento persino La Repubblica cambiò completamente punto di vista, concentrandosi sulla cosiddetta “annuncite” di Renzi, sulle promesse mancate che funzionano, però, da arma di distrazione di massa e sulla sua mancanza d’azione che ha innescato, per esempio, le manifestazioni sindacali che abbiamo seguito attraverso i telegiornali.

Nello Barile
Nello Barile

Molti accusano Matteo Renzi di “parlare troppo”. Crede che questo sia vero? Il fatto che rilasci interviste, faccia molti discorsi e anche qualche selfie può essere un vantaggio o uno svantaggio nella strategia comunicativa del premier?

 Renzi è al centro di una sovraesposizione mediatica. Una sovraesposizione persino maggiore e, quindi, non paragonabile, a quella dell’epoca berlusconiana che abbiamo vissuto e da cui siamo usciti da poco. Non c’è confronto, in termini di esposizione mediatica. Matteo Renzi, infatti, ha partecipato a programmi politici e non, pensiamo a quelli di Maria De Filippi e Barbara D’Urso. In alcuni momenti era davvero ovunque e, così, ha saputo ampliare il suo target di riferimento. Una considerazione interessante: il berlusconismo era legato a filo doppio con la televisione e i sondaggi, Renzi ha sempre snobbato questi ultimi, basando la sua strategia di comunicazione sui social media, benché abbia sempre riservato un ruolo importante anche alla televisione. Rispetto ai politici che lo hanno preceduto, Renzi è riuscito a intrattenere empaticamente l’elettorato; è evidente che il suo governo sia caratterizzato da una maggiore proliferazione dell’immagine, una sorta di iperproduzione che, se da una parte favorisce un legame diretto e autentico con le persone, dall’altra è un’arma che a volte sfugge di mano ai politici stessi.

Una domanda forse un po’ provocatoria: ritiene che la personalità esuberante di Matteo Renzi, considerato il ruolo che ricopre, sia credibile e accettata in Europa?

 E’ possibile che il problema non si ponga, perché oggi l’unica alternativa possibile a Renzi è Salvini, ovvero un convinto antieuropeista. Per questo motivo l’Europa, fondendo la simpatia con la diplomazia e la convenienza, preferisce Renzi. Va anche detto, però, che i più grandi leader europei, da Cameron alla Merkel fino a Hollande dimostrano rispetto e benevolenza verso il nostro premier. Se guardiamo ai fatti e in special modo all’ultimo semestre Matteo Renzi non ha ottenuto granché in Europa. Ancora promesse e grandi aspettative andate per lo più in fumo.

Matteo Renzi
©Dalla fanpage di Matteo Renzi

Ritiene che il premier, in qualche modo, rappresenti i vizi e le virtù degli italiani?

 Sì, ma molto meno di Berlusconi, il quale rappresentava l’icona di una certa italianità. Quando era al potere agli italiani che andavano all’estero capitava spesso di essere travolti dalle domande su ciò che aveva fatto o detto Berlusconi. Ciò non accade con Renzi, che non incarna lo stereotipo dell’italiano medio, bensì alcuni attributi del potere nell’epoca post democratica: astuzia, tendenza alla contraddizione, spavalderia che diventa arroganza (pensiamo a ciò che disse riguardo ai sindacati e ai magistrati). Nei circoli del PD si discute ancora su questi tratti caratteriali di Renzi (ricordiamo, a tal proposito, il “metodo Boffo” citato da Bersani) e alcuni scomodano perfino “Il Principe” di Machiavelli per spiegare l’arrivismo e l’opportunismo in stile “il fine giustifica i mezzi” di Renzi.

Viviamo nell’epoca dei social network, in cui persino la politica passa attraverso un post e un tweet. Cosa ne pensa? Ritiene che i nostri politici sappiano usare questi strumenti? Forse l’uso dei social svilisce la politica?

 Su questo punto c’è una grande polemica innescata dalla vera e propria rivoluzione di cui è stato protagonista Barack Obama. La politica si è trasformata grazie alla sintesi dei centoquaranta caratteri, una restrizione che richiede anche velocità. Da notare un fatto importante: sia la sintesi che la rapidità, in passato, erano considerati i punti deboli della televisione. Va considerato, poi, il self branding (a tutti i livelli della società, non solo politico), elemento importantissimo in quanto comporta la gestione continua della propria immagine e della propria reputazione; non è sempre facile costruire e mantenere la reputation e, infatti, non mancano i casi di politici che perdono la pazienza come, per esempio, Gasparri. Il suo rapporto con i social network mostra alla perfezione quanto la percezione dei leader politici sia cambiata e mette anche in evidenza i lati oscuri di Internet. La presenza dei social network è caratterizzata dalla democratizzazione, esplicitata dal personaggio che scende dal piedistallo diventando, almeno in apparenza, uno di noi. Ciò, però, vuol dire anche che il politico, in questo caso, può ingaggiare delle battaglie online, scendere al livello popolare, comportarsi come le persone comuni che dibattono, litigano e si insultano persino. Su quest’ultimo punto si potrebbe parlare a lungo, soprattutto in merito alla questione del “fascismo emozionale” sui social che può arrivare alla vera e propria delegittimazione dell’avversario.

Matteo Renzi su Facebook
Matteo Renzi su Facebook

Con la nascita dei social network è cambiato il concetto di popolarità?

Assolutamente sì. Prima la popolarità era collegata al vecchio sistema dei media, successivamente anche ai reality che regalano tuttora il quarto d’ora di celebrità, legittimando la popolarità dal basso. Oggi, invece, la questione è più complessa: il vecchio e il nuovo sistema, quest’ultimo basato sui social si intersecano, si espandono. Prima, per chi voleva emergere nel mondo della musica, per esempio, c’era My Space, oggi X Factor e American Idol; questi sono i programmi con cui la televisione risponde alla dinamica di fama che proviene dal basso e si ritrova nei dei social media. Anche in questo caso il concetto chiave è quello di reputation, la quale deve essere costruita controllando minuziosamente le proprie attività online, in televisione e sui giornali. Bisogna saper giocare su questi diversi piani in modo astuto, senza dimenticare che la televisione rimane l’unico mezzo in grado di decretare la vera popolarità.

 Renzi TwitterSecondo lei esiste l’identikit del politico ideale?

 Questo è un bel problema legato anche all’epoca di crisi che stiamo vivendo. Pensiamo agli Stati Uniti e allo storico confronto tra Kennedy e Nixon. Kennedy era considerato il Presidente buono e generoso (ci sarebbe, poi, da discutere su ciò che realmente è riuscito a realizzare durante il suo mandato), mentre Nixon quello duro, cattivo. La realtà, invece era molto più complessa di così e, allo stesso modo, le personalità dei due Presidenti. In Italia, tramontato il bipolarismo, lo scontro politico ha visto tre protagonisti: Berlusconi, Renzi e Grillo; tutti provengono dalla televisione e sono leader extraparlamentari (ricordiamo, infatti, che Berlusconi è decaduto). Inoltre tutti e tre propongono forme di populismo diverse tra loro: Grillo, per esempio, è orientato maggiormente verso il web, Berlusconi verso la televisione, Renzi Twitter. Nessuno di loro, però, può rappresentare il politico ideale. Il vero banco di prova, infatti, è il rapporto tra politica ed economia e, considerata la crisi che stiamo attraversando, forse la presenza di un tecnocrate sarebbe più opportuna. Monti ha rappresentato questa possibilità, eppure nemmeno lui è riuscito a fare granché, anzi, il suo governo è stato considerato il peggiore degli ultimi anni. Nemmeno l’élite culturale è riuscita a realizzare progetti politici concreti e questo significa che siamo al centro di una grande trasformazione. Si parla di “regimi post democratici” e di un probabile ritorno al bipolarismo caratterizzato dal populismo “dolce” di Renzi da una parte e da quello più radicale di Salvini dall’altra. Non solo. Un’altra grande trasformazione sta nell’assenza di un programma politico. O meglio, il programma c’è, ma non è più frutto del pensiero, della visione e degli ideali dei politici, ma nella testa della gente. Gli stessi politici, dunque, devono andare incontro alle persone e, se necessario, modificare quel programma già esistente.

Crede possa esistere un politico “introverso”, ovvero un uomo che non ami affatto apparire, né rilasciare interviste, ma si limiti a lavorare per il Paese? (Magari è utopia?) O meglio, ritiene che introversione e politica possano andare d’accordo?

Prima sì (pensiamo al PC o ai democristiani). Esistevano politici poco narcisisti, poco disposti a mettersi in mostra. La nuova politica, però, richiede di mettersi in gioco continuamente, di esporsi e questo discorso va anche al di là della funzione politica. Molto spesso, infatti, si tratta di un’esposizione che scava nel profondo, nell’intimità. Persino le emozioni diventano merce di scambio. Bisogna, insomma, saper stare in scena.

Angela Merkel rigoreCosa potrebbero imparare i politici italiani dal modo di porsi di personaggi molto famosi come Angela Merkel (nella foto alla vostra destra) Barack Obama o Vladimir Putin? Si tratta di tre “modelli” molto distanti tra loro. Ce ne è uno che la colpisce di più (anche non compreso in questo breve elenco).

 Non so se l’Italia sia, in tal senso, un laboratorio in grado di anticipare il futuro. Grillo è stato un caso unico. Se ci riferiamo ai leader internazionali, però, Angela Merkel, pur essendo una delle donne più potenti del mondo e la più potente in Europa, è espressione del rigore e dell’austerità. Molto sobria, ha sempre adottato il low profile (a dire il vero, con la crisi e l’ondata di antipolitica molti personaggi italiani legati alle istituzioni hanno optato per il basso profilo). La Merkel ha fatto la gavetta, è una donna decisa che ha costruito un’intera carriera passo dopo passo con la discrezione che la contraddistingue. Obama, invece, è un modello di riferimento più vicino a Renzi, benché il paragone tra i due sia impossibile. L’immagine del Presidente americano è studiata alla perfezione, nei minimi dettagli e il risultato è strabiliante: l’elemento della coolness (fascino, carisma, autocontrollo) in Obama fa riferimento direttamente alla cultura hip hop, ma Renzi può solo tentare di imitarlo. Con Putin, invece, siamo su un altro livello, quasi un altro mondo. Parliamo di una ex spia ed ex burocrate che sfrutta il culto della personalità; pensiamo ad esempio, all’immagine di Putin come combattente, padre della patria o sportivo. Guardandolo abbiamo l’impressione che ci stia davvero dicendo: “Non sono cattivo, è che mi disegnano così”. Durante la sua conferenza di fine anno, avvenuta qualche giorno fa, ha definito la Russia “l’orso” che l’Occidente vorrebbe incatenare, usando un sostantivo con metafora zoologica che fa parte di uno stile linguistico molto caro al culto della personalità. E’ stato persino detto che il Presidente della Federazione Russa sembra un personaggio uscito dalla penna di Ian Fleming e sarebbe stato il cattivo ideale in un film o romanzo di James Bond.

Francesca Rossi

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