AL GEMELLI IL PRIMO CUORE ARTIFICIALE

Il policlinico Gemelli di Roma
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Anche al Policlinico “A. Gemelli” di Roma ha cominciato a pulsare il primo cuore artificiale: è stato impiantato a un uomo di 64 anni affetto da una grave malattia cardiaca (Cardiomiopatia Dilatativa Idiopatica) e ricoverato in rianimazione in condizioni critiche e senza ormai nessuna possibilità di cura.

L’intervento è stato eseguito presso il Dipartimento di Scienze Cardiovascolari grazie alla collaborazione tra l’équipe del professor Filippo Crea e quella del professor Massimo Massetti, rispettivamente a capo della Cardiologia e della Cardiochirurgia del Policlinico Gemelli. Con questo primo intervento si dà avvio a un programma che prevede l’impianto di altri cuori artificiali ad altri pazienti che non sono curabili altrimenti.

Parte così al Gemelli un programma multidisciplinare per la cura dei pazienti affetti da grave insufficienza cardiaca, una condizione che caratterizza, purtroppo, la fine del percorso di molte malattie come l’infarto, le disfunzioni valvolari o le malattie stesse del muscolo cardiaco.

«Il Policlinico Gemelli – spiega il professor Massimo Massetti – ha pianificato un progetto ambizioso inerente il percorso clinico del paziente affetto da insufficienza cardiaca. Molti specialisti tra i quali cardiologi, cardiochirurghi, anestesisti e rianimatori, internisti e geriatri lavorano insieme intorno alle problematiche del paziente, esprimendo una sinergia d’eccellenza. In questo contesto è stato avviato il programma che prevede l’impianto di cuori artificiali nelle gravi insufficienze d’organo che non rispondono alle terapie convenzionali».

Il paziente dopo l’intervento chirurgico e un breve periodo di degenza post-operatoria è stato trasferito in un centro di riabilitazione cardiologica con esperienza nei soggetti portatori di cuori artificiali. Attualmente le sue condizioni cliniche sono in netto miglioramento e nei prossimi giorni verrà dimesso per ritornare al suo domicilio in una regione del Centro Italia.

È un doppio successo quindi per il Policlinico Gemelli, non solo perché l’impianto del cuore artificiale eseguito nel mese di ottobre segna l’inizio di un’attività volta a salvare la vita anche di altri malati che necessitano di cuore artificiale, ma anche perché corona il successo degli sforzi per far rientrare in Italia il cardiochirurgo Massetti, 20 anni trascorsi all’estero e oltre 200 tra pubblicazioni e comunicazioni scientifiche alle spalle.

«Il mio rientro in Italia dopo 20 anni di permanenza all’estero si è realizzato tramite una chiamata diretta della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica – spiega il docente – . Questa modalità di reclutamento di un professore ordinario è stata realizzata grazie al decreto legge Moratti-Gelmini che prevede, sulla base di equipollenze di posizioni accademiche, il reclutamento diretto di un professionista stabilmente impiegato all’estero». La carriera universitaria del professor Massetti si è articolata in Francia dove il docente ha ricoperto diversi ruoli: Professore Associato dal 2004 e Professore Ordinario dal 2007. Sempre dal 2007 Massetti ha ricoperto anche il ruolo di Direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia, Trapianti e Assistenza Meccanica del Policlinico Universitario di Caen in Francia. Una particolarità che lo ha contraddistinto in questa carriera è che risulta essere stato il primo straniero con titoli di studio (Laurea e specializzazione) non conseguiti in Francia a essere nominato Professore Ordinario in quel Paese.

In Italia si registrano ogni anno circa 170mila nuovi casi di scompenso cardiaco grave; per questa situazione entro un anno il 60 per cento dei pazienti è destinato a morire. Si prevede che entro il 2030 il numero di pazienti che andrà incontro a tale condizione raddoppierà e questo perché le nuove terapie che salvano le persone dall’infarto fanno sì che si crei una popolazione che va incontro allo scompenso cardiaco cronico refrattario alla terapia medica. Il trapianto cardiaco non può, da solo, rappresentare una soluzione per il trattamento dell’insufficienza cardiaca avanzata, sia a causa della scarsità di donazioni, sia per l’elevato numero di pazienti che, per età e condizioni di salute, non sono candidabili a trapianto (i due terzi sono over-65 e quindi automaticamente esclusi da questa soluzione, dalle liste di attesa di trapianto di cuore, infatti, vengono esclusi non solo tutti gli over-65, ma anche tutti quei pazienti che presentano una serie di altre controindicazioni al trapianto). Il cuore artificiale impiantato, denominato Jarvik 2000, è una pompa in titanio della grandezza di una pila torcia e del peso di 90 grammi. L’energia che lo fa funzionare è fornita da una batteria esterna (dell’ingombro di un paio di telefoni cellulari messi insieme) attraverso un cavo elettrico collegato a uno spinotto fissato dietro l’orecchio. Quest’apparecchiatura è quindi poco ingombrante e facile da utilizzare, anche per i pazienti più anziani. Dopo l’impianto del cuore artificiale i pazienti possono lavorare, guidare l’auto, fare la doccia e il bagno in piena sicurezza.

Secondo uno studio recente, che ha coinvolto 12 centri in Italia (Padova, Roma, Torino, Legnano, Milano S. Raffaele, Udine, Chieti, Siena, Bologna, Catanzaro, Centro Cardiologico Monzino e Ospedale Pediatrico Bambino Gesù), la qualità della vita dei pazienti che si avvalgono di questo cuore artificiale è paragonabile, dopo 9 mesi dall’intervento, a quella di persone non cardiopatiche di pari età e sesso.

Negli ultimi 5 anni sono oltre 3.000 i pazienti americani che, in presenza di patologie cardiache critiche, hanno ricevuto l’impianto di un cuore artificiale o, più propriamente, di un dispositivo meccanico di assistenza ventricolare (VAD, Ventricular Assist Device), un numero di persone che è cresciuto di anno in anno, raggiungendo le 1.000 unità nel 2010 (dati dell’Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support www.intermacs.org). In Europa i numeri si scostano di poco (500-600 impianti all’anno), ma il trend è piuttosto stabile a causa dei costi elevati dei dispositivi a carico totale delle strutture sanitarie. Con circa 400 impianti all’anno, la Germania è il Paese europeo leader tra gli utilizzatori di questi dispositivi, seguito a distanza da Francia (100 impianti), Italia (80) e Inghilterra (20). In Italia mediamente vengono impiantati tra 60 e 80 dispositivi della “famiglia” cui appartiene Jarvik 2000, dispositivi chiamati LVAD – Left Ventricular Assist Device.

«Il dispositivo utilizzato al Gemelli, che presenta vantaggi importanti per la qualità di vita del paziente, viene utilizzato in 20-25 casi all’anno quasi sempre come destination therapy – spiega il professor Massetti – , ovvero come cura e non come dispositivo ponte in attesa di trapianto.  La tendenza è che si avrà sempre più domanda di organi – conclude il cardiochirurgo Massetti – a causa dell’invecchiamento della popolazione e della diffusione delle malattie cardiache, a fronte di donazioni che continuano a diminuire. Non si tratta di una dinamica che nasce soltanto dalla mancanza di cultura della donazione, ma è dovuta soprattutto all’invecchiamento dell’età dei donatori, da cui conseguono maggiori difficoltà nell’utilizzabilità dei cuori. In questo contesto, i dispositivi di assistenza ventricolare rappresentano una valida alternativa al trapianto di cuore, il cui programma in Italia ha già raggiunto livelli di eccellenza».

 

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