Perizomi e foglie di fico

Fig. 1 - Jan Van Eyck, Adamo ed Eva
Fig. 1 – Jan Van Eyck, Adamo ed Eva

    Che la Chiesa raccomandasse di mettere il perizoma ai santi lo stiamo sentendo quest’anno nei Convegni di studio per il 450° anniversario del Concilio di Trento chiuso nel 1563. Si trattava di dipingere, sulle figure d’arte, non l’odierno spudorato ‘due fili’ da spiaggia, ma il perizoma greco classico, una fascetta intorno alla vita con due lembi pendenti per coprire le parti intime. La ricorrenza è stata una occasione per aggiornare l’eterna questione del rapporto tra morale e libertà della cultura, con un monito a non rimanere inerti a sorridere della calzamaglia imposta dalla RAI alle sorelle Kessler cinquant’anni fa, o ad aspettare per decenni che la televisione riproponga in versione integrale capolavori del cinema censurati sul nascere.

Fig. 2 -  Adamo ed Eva censurati
Fig. 2 – Adamo ed Eva censurati

   Pericolo è stato sempre il nudo, soprattutto quello femminile. Pericolo erano Eva e Adamo dipinti da Jan Van Eyck nel Quattrocento senza trascurare dettagli e pelurie, troppo conturbanti per poterli collocare su un altare (Fig. 1).  Insufficiente il perizoma per loro, meglio una punizione di panni scuri, eliminati con un difficile restauro (Fig. 2). Pericolo costituiva la Venere dipinta nel 1565 da Ridolfo del Ghirlandaio con il piccolo Cupido che tenta invano di coprirla con un piedino (fig. 3). L’Ottocento puritano le mise addosso pacchiane vesti colorate, con le quali è rimasta nella Galleria Colonna a Roma fino al 2001 (fig. 4). L’ha scampata invece un capolavoro del Liberty, Il pittore e la modella di Gustave Klimt (Fig. 5), opera di eleganza assoluta che mostra la ragazza in posizione audace, travolta dall’ossessione erotica insieme al grande artista viennese.

    Alle sculture capitava di peggio, quelle maschili evirate, quelle femminili trafitte da chiodi per fissare foglie di fico non soltanto sui bassiventri: sui morbidi seni della Carità Virtù (Fig. 6), preziosa statua barocca in marmo bianco della Chiesa berniniana di Sant’Isidoro in Roma, venne avvitata nel 1860 una camicia di bronzo, schiodata solo nel 2002 (Fig. 7). Vien da chiedersi come mai sia sfuggita alla rovina la Venere Callipigia, che in greco significava dalle belle natiche, considerato che la dea dell’amore si è mostrata per secoli mentre si spoglia e si volta compiaciuta ad ammirare il suo lato B (Fig. 8). Portata a Napoli con la Collezione Farnese, fu però relegata nelle Stanze Segrete del Museo Archeologico Nazionale. Nel guardarla oggi, esposta al pubblico dopo lunghissima galera, nessuno si stupisce che l’arte greca abbia immaginato le forme fisiche di una dea come quelle di una bella ragazza mediterranea.

Fig. 8 - Venere Callipigia
Fig. 8 – Venere Callipigia

     Il ‘guaio’ peggiore la Chiesa ce l’aveva in casa. A Michelangelo era venuta l’idea di includere nudità nel Giudizio Universale della Cappella Sistina. Appena morto lui nel 1564, fu dato ordine a Daniele da Volterra di ‘purificare’ quella che sembrava una bolgia di provocazioni, finanche omosessuali (Fig. 9). Daniele decise di evitare perizomi foglie di fico che, si sa, inducono a… immaginare. E si che c’era chi immaginava! Avendo notato che Santa Caterina di Alessandria, inchinata tutta nuda, si voltava a guardare San Biagio dietro di lei, il canonico Giovanni Andrea Gilio scrisse infatti al papa: “Il Buonarroti ha fatta chinare Santa Caterina con atto poco onesto dinanzi a San Biagio, il quale, standole sopra, par che le ordini minaccioso che stia ferma, et ella si rivolge a lui in guisa che dice: adesso che cosa mi farai?“.

   Daniele da Volterra si affrettò a coprire Santa Caterina con una veste verde (Fig. 10) e a ridipingere la testa di San Biagio rivolta da un’altra parte. Ma il pittore Marcello Venusti ne aveva già fatta una copia nel 1549 (Fig. 11). Chi va a guardarla nel Museo di Capodimonte a Napoli, si è detto nei Convegni di studio, rischia di sentirsi… guardone.

Elio Galasso

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