Intervista a Claudio Trotta: una vita per la musica

Claudio Trotta
Claudio Trotta

Claudio, lei è riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti organizzatori di concerti, spettacoli dal vivo e festival sia in Italia che all’estero. Qual è stato il percorso umano e professionale che l’ha portata a questa professione?

Io ho una storia abbastanza particolare: mio nonno paterno era un impresario d’opera ed un violinista de La Scala, mia nonna era una soprano, mia madre da giovane era una contorsionista e soubrette, i suoi genitori erano attori d’avanspettacolo e la sorella gemella di mio padre è diplomata in arpa quindi si può dire che forse sia rimasto qualcosa di tutto questo nel mio Dna. Dal punto di vista personale  la musica, l’organizzazione, il giornalismo, lo scrivere, la radio, sono sempre state mie grandi passioni fin dai tempi del liceo. Ho cominciato a collezionare 45 giri e vinili fin da quando avevo 13 anni, al liceo organizzavo eventi culturali all’interno della scuola: un cineforum sul neorealismo, una mostra sui carnevali di Schignano e Bagolino, ho vissuto i tempi bellissimi delle radio libere, ho lavorato nella prima radio d’informazione di questo paese che è Radio Canale 96 e lì ho fatto veramente di tutto: dall’organizzare i concerti, alle trasmissioni musicali di qualsiasi genere e a qualsiasi orario, facevo conduzioni notturne dalle 11 di sera alle 7 del mattino. A quei tempi, in cui non c’erano i computer a dare ordini alla programmazione, chi era alla console gestiva interamente e liberamente tutto. Poi ho anche fatto un corso per operatore musicale alla Civica scuola d’Arte Drammatica di Milano, oggi Civica Scuola Paolo Grassi dove attualmente insegno una volta al mese durante un master per operatori teatrali. Ho scritto articoli di musica, ho sempre amato scrivere tanto, e, attraverso la mia passione per la musica a 360 gradi, ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con il folk, il rock, il  jazz, la musica elettronica, quella da camera, sinfonica, lirica, creandomi un background completo. Questo è quanto accaduto a livello personale poi nel 1979 ho iniziato in proprio con la Barley.

Nel 1979 ha fondato la Barley Arts promotion. Cosa significa per lei gestire quest’attività?

Facendo questo lavoro da ben 35 anni, è evidente che ho avuto modo di vedere e vivere un mondo che è progressivamente cambiato tantissimo, tante cose sono migliorate ma  tante altre sono peggiorate o come dire sono cambiate radicalmente. Il mondo in cui ho iniziato io non aveva internet e non c’era  nemmeno il fax, c’era il telex. Era un mondo in cui non c’erano i telefonini però c’era più concentrazione da parte delle persone  nell’informarsi, nel voler conoscere la musica. In ambito live non c’erano ancora le multinazionali, la musica riprodotta era il fulcro mentre la musica live era invece ai lati. La  musica riprodotta costava di più della musica dal vivo, questo era un fatto paradossale visto che la musica riprodotta tende a deteriorarsi mentre la musica dal vivo è un qualcosa che nella sua essenza è irripetibile, ogni concerto non è mai uguale, fatto salvo che col playback è un altro discorso. Poi con l’ingresso delle multinazionali nella musica live, abbiamo assistito a una globalizzazione dei consumi.  Per quanto riguarda le problematiche del settore,  in Italia comincerei col dire che non si tutela la musica popolare contemporanea, non è mai stata costruita una struttura dedicata alla musica popolare contemporanea con denaro pubblico. L’Arcimboldi non è una struttura per la musica popolare contemporanea, essa è stata costruita per dare un’alternativa alla Scala che era chiusa per lavori,  non lo è nemmeno il Parco della Musica a Roma in quanto sede dell’Accademia di Santa Cecilia. Sono tutte sedi che noi utilizziamo ma che non sono deputate né costruite per la nostra musica. La formazione professionale  in campo musicale è relegata alle iniziative dei privati, ci sono tante Scuole, attività, in campo associativo, circoli Arci, ci sono tantissime situazioni  che resistono e che continuano a fare formazione e informazione professionale però il sistema scolastico ancora non offre nulla a riguardo. A monte c’è, purtroppo, un problema insito nei cromosomi degli italiani:  la musica non è vissuta come una componente della propria vita quotidiana; questa è una cosa che ripeto spesso e da tanti anni perché non è cambiato niente. La musica è antropologicamente qualcosa che, da sempre, ha scandito i momenti dell’esistenza umana e  dovrebbe continuare a essere questo, invece è vissuta in maniera superficiale, modaiola e devo dire che, girando in Europa e un po’ anche nel mondo, si tratta di qualcosa di tipicamente italiano e temo che i cambiamenti saranno secolari.

claudio 2Come si organizza un concerto e quali sono le fasi che ne scandiscono la messa a punto?

Dando per scontato che si sia già in una rete di conoscenze e di relazioni professionali che permettono e consentono di acquisire il tour o l’esibizione di un artista, la metodologia prevede vari aspetti: una volta definito l’accordo con l’agente, il manager, o direttamente con l’artista,  ci sono tante  responsabilità  logistiche, amministrative, economiche, produttive che definiscono una sorta di iter in parallelo: quello inerente alla parte burocratica e logistica che comporta la contrattualizzazione di uno spazio fisico dove fare un concerto, un iter che riguarda le varie richieste e i vari permessi che vanno ottenuti:  da quello SIAE per tutelare i diritti d’autore, alla licenza di pubblico spettacolo, la quale passa attraverso la  presentazione di documenti più o meno complessi a seconda dell’entità dell’evento, c’è poi una fase di preproduzione che comporta quindi l’acquisizione di una serie di informazioni con la fornitura di alcuni servizi e di assistenza: palco, corrente elettrica, personale che faccia carico e scarico, elettricisti. Quando, invece, la produzione non è solo da promoter ma è da produttore c’è addirittura l’assemblamento dello spettacolo con una dinamica più complessa che va dalla scelta dei musicisti,  quando si tratta di un solista, la scelta dei service, la scelta dei tecnici  che andranno coinvolti nella costruzione dello spettacolo e  le prove.  C’è, poi, l’aspetto promozionale con dimensioni variabili: sempre più la promozione si gioca sulla messa in vendita dei biglietti molto tempo prima, un grande lavoro virale su Internet, sempre meno affissioni, sempre meno inserzioni sui quotidiani. Con il concerto ci sono, poi, una serie di dinamiche inerenti all’aspetto di rendicontazione economica: quasi sempre gli artisti sono in percentuale e sono  protagonisti e partecipi di tutte le scelte : decidono tramite il loro agente i costi dei biglietti, la tipologia dei posti, decidono sei ci sono i meet and greet e  i prezzi differenziati dei Pit. Dopo il concerto c’è, infine, una fase di archivio obbligatorio di tutto quello che si è fatto.

Nel corso della sua carriera ha avuto la possibilità di interagire con tante star. Qual è stato e come è cambiato il suo approccio nei loro riguardi nel corso degli anni?

Ho avuto la fortuna di conoscere e avere a che fare soprattutto con artisti che ho scelto e sottoscritto nel senso che ho condiviso la maggior parte delle loro gesta artistiche.  Questo è un onore e un onere che spesso mi è costato molto a livello economico. Negli anni Ottanta avevo molto più piacere a stare con gli artisti, negli anni Novanta ho cominciato a perderlo, adesso, con tutta franchezza,  è rarissimo che abbia voglia di stare insieme agli artisti e questa non è una cosa piacevole che sto dicendo. Forse è perché ci sono fasi della vita, forse perché anche gli artisti passano fasi della vita, sia che sia cambiato io o loro è stato comunque bellissimo parlare con personaggi come  Chemical Brothers, Kiss, Cure,  Bruce Springsteen, Ac/Dc  e tantissimi altri. Il fatto è che c’è decisamente meno spazio per esprimente la  propria personalità, la propria umanità, la propria artisticità, la propria  voglia di incidere su quello che si fa;  è tutto molto più omologato, omogeneizzato, standardizzato  e faccio un po’ fatica a trovarmi in questo mondo. Mi sento un po’ residuo di un altro mondo, forse mi sento un po’ un alieno, forse  faccio parte di una specie in estinzione. Anche per questo sto modificando la mia attività da promoter e produttore di musica dal vivo in un’attività di enternainment a 360 gradi. Ho frequentato, sperimentato e sto ancora sperimentando tante cose perché sono fondamentalmente malato di “challenge”. Devo continuamente confrontarmi, non so se con me stesso o col mondo, ma questo è il mio destino. Non si può fare diversamente che mettersi in gioco, non si può stare fermi, è necessario guardare continuamente oltre con lo sguardo, con il cuore e  con l’animo. Non ho mai pensato di omologarmi, non ce la farei mai.

 claudio 3C’è un ricordo speciale che resterà indelebile nel suo cuore?

Nel corso dei decenni ho risposto nelle maniere più svariate a questa domanda. Forse la risposta che ricorre più spesso  è che sono molto legato alla triade dei “Sonoria”, i tre festival che organizzai dal ‘94 al ‘96 secondo uno stile squisitamente anglossassone. C’erano vari generi musicali, varie opportunità, il concerto,  era ed è, ancora oggi, concepito come una  messa dove si celebrava un “dio” e si pregava e si cantava con lui. Il festival la festa di chi partecipa non di chi sta sul palco, la cosa brutta è che in Italia le varie generazioni che ho visto crescere questo non l’hanno ancora capito e la cosa mi rattrista. Io vado ai festival all’estero e  vedo il modo in cui i gli europei  guardano i festival: ci vanno con i loro amici per fare una vacanza, per godere della varietà,  per essere loro gli artisti e per celebrare nient’altro se non la vita. La cosa grottesca è che molti italiani vanno ai festival all’estero e disertano quelli organizzati in Italia: la cosa si commenta da sola.

Quali sono le difficoltà più grandi che incontra, in genere, nel suo lavoro?

Ce ne sono in ordine sparso, ci sono tantissimi biglietti venduti per i grandi nomi nelle grandi città, però poi c’è uno scenario complessivamente negativo:  ci sono tanti organizzatori in gravi difficoltà nelle città medio grandi come Verona, Treviso, Napoli, Bologna, Torino. Lì si fa molta fatica, non c’è sufficiente mercato per giustificare la presenza di strutture professionali che creano lavoro, che pagano stipendi, che creano benessere. I problemi sono enormi e sono amplificati dalle multinazionali che stanno causando aumenti dei prezzi. Spesso e volentieri si fa una concorrenza che alla fine viene pagata dal consumatore e non si investe sull’esperienza. Tuttora, purtroppo, la maggior parte dei soldi vanno spesi per pagare gli artisti e le produzioni che vogliono loro  non certo per migliore le strutture e  i servizi; questo dovrebbe far ragionare e riflettere. Per quanto  mi riguarda, quando posso, cerco sempre di controllare i servizi accessori come l’ enogastronomia, la qualità della musica e dell’inquinamento prodotto dalle luci. Personalmente non sopporto vedere troppa luce durante gli spettacoli, questa è una cosa di cui si parla molto poco ma c’è bisogno di più qualità nelle rappresentazioni. C’è troppa spesa nei mega spettacoli e non c’è attenzione a tutto il resto. È grave anche il fatto che nei piccoli locali ci siano  impianti che fanno schifo, quasi sempre si privilegia la discoteca alla musica dal vivo e di conseguenza che ci sono degli staff da discoteca con service da discoteca. Capisco,  tuttavia, che i conti non tornano perché chi gestisce spazi esclusivamente dedicati alla musica fa una fatica bestiale perchè è tartassato da tasse, controlli e quant’altro. Non si è ancora consapevoli del fatto che la musica dal vivo  è un lavoro a tutti gli effetti e che, se fatto bene, crea benessere fisico e psichico.

Ha avuto modo di interfacciarsi con organizzatori e operatori musicali di altre culture? Qual è il loro approccio professionale?

Totalmente diverso. In quasi tutti i Paesi europei che ho visitato, anche nelle città di provincia, ci sono ancora tanti negozi di dischi, ci sono centri culturali polivalenti dove la musica popolare contemporanea ha la stessa attenzione di altri settori, a Scuola si insegna la musica etc… è proprio  il concetto di fondo a essere diverso:  la sera si esce e si va a sentire musica dal vivo, c’è una circolazione e una maniera di informarsi molto più rapida; in poche parole c’è una cultura diversa. La parola cultura in Italia vive abusi continui. La cultura è insita nell’equilibrio delle persone e in un Paese che ha dato il nome al melodramma, al libretto e a tantissimi artisti di fama mondiale il paradosso è ancora più forte.

C’è qualcosa che vorrebbe fare e che non ha ancora fatto?

Certamente! C’è sempre qualcosa che vorrei fare: quelle a cui non ho ancora pensato e a cui penserò… mi auguro quanto prima.

Raffaella Sbrescia

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