Pupi Avati, La grande invenzione

Recensione

1706201_0 2Pupi Avati è un bugiardo, egocentrico, narcisista, un arrivista, uno stalker, un ipocrita, un imbranato, un fallito, un acchiappanuvole, un furbo, un maschilista, un esaltato. Questo è quello che esce da un libro spietato che è stato scritto su di lui ed edito da Rizzoli; il problema è che è stato scritto da lui, essendo un’autobiografia: dissacrante, comica e satirica, sul senso dell’amore e della morte, nella quotidianità e nella trascendenza. Questo compromette notevolmente l’intento diffamatorio, andando a coincidere l’autore e il protagonista. Avati è spietato, con sé stesso, e pieno di pietà nei confronti del mondo. Per questo è geniale, e racconta sé stesso con un’autenticità, ed un’immaginazione, che verrebbe voglia di essere di nuovo bambini, non addormentarsi, e chiedergli di raccontarci ancora storie così. Purtroppo non siamo bambini, ma per fortuna lui fa un mestiere in cui può raccontarci storie così. Sarà vera, la storia di un sensibile, emotivo, innamorato degli altri (e soprattutto delle altre), che suona per sognare, e far sognare le persone che incontra, che si ritrova venditore alla Findus dal grande avvenire, e lo lascia, per condividere i propri sogni e raccontare quelli altrui, che neanche confessiamo a noi stessi di avere, cinematografandoli? Sarà la vera la storia di un buono, generoso, altruista, paziente, di un’intelligenza intensa e seducente, che si ritrova anziano senza aver mai smesso di essere la parte migliore di sé stessa, ragazzo? Scriveranno che La grande invenzione è scritto benissimo, e Giuseppe Avati detto Pupi rivela un inedito talento di scrittore (non solo) di sé stesso: non credetegli, che fosse un bravissimo scrittore, è una delle poche cose indiscutibili su di lui, per come ha scritto i film. «Ho sempre coltivato l’idea, forse un po’ riduttiva, che i destinatari dei miei racconti dovessero essere soprattutto le persone che non avevano mai creduto in me. Andare a rivangare il passato, però, non è sempre un’ottima idea», scrive, ed è per questo che parte trentenne da Bologna, per riconquistare le persone che forse inizieranno a sorridergli dopo i successi, ma non sarà nulla come prima: d’altronde, «se te ne vai da Bologna, devi sapere che te ne stai andando per sempre». Tutto questo per una carriera che lo vedrà scrivere film per Pasolini, rinunciare ad essere l’autore di Fantozzi, rischiare di essere il regista televisivo del Papa, e soprattutto, diventare Pupi Avati. Intervallati da intermezzi corsivi onirici, in un continuo dialogo trascendente con Lucio Dalla e la propria mamma (che finiscono proprio quando nei capitoli, arriva il momento di raccontarli), i capitoli del libro sono un’anteprima, del suo prossimo film, che si chiamerà La grande invenzione: non è una notizia, ma è un augurio, che facciamo più a noi, che a lui.

Daniel Agami

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