“Per Isabel”, romanzo postumo di Tabucchi. La recensione

per isabelUn’anima errante, irrequieta, in cerca della soluzione a tutte quelle questioni irrisolte, rimaste aperte nel corso della vita. Questioni che non fanno vivere, o morire, tranquilli: sono dubbi, rimorsi, rimpianti che tormentano e che, proprio per questo, devono trovare una spiegazione o, semplicemente, un epilogo, per mettere un punto definitivo e poter procedere, ovunque ci si trovi. Scomparso circa un anno e mezzo fa a Lisbona, la sua città adottiva, Antonio Tabucchi ci regala ancora oggi un viaggio mistico, a metà tra realtà e allucinazione, in un’ambientazione onirica in cui il tempo si dilata e smette di articolarsi chiaramente in passato, presente e futuro.

“Per Isabel. Un mandala” è il romanzo postumo dello scrittore italiano che più di tutti ha amato e raccontato il Portogallo, paese in cui ha ambientato buona parte dei suoi romanzi. A pubblicare quest’ultimo capolavoro è stata, ancora una volta, Feltrinelli. «L’aveva scritto nel corso di alcuni anni – spiegano Maria José de Lancastre e Carlo Feltrinelli nella nota al romanzo – ne aveva parlato con convinzione in varie interviste (…). Nel frattempo si era messo a scrivere altre cose, in altre direzioni; aveva viaggiato, cambiato paesi; l’aveva dato in custodia a un’amica cara; infine le aveva chiesto di restituirglielo perché lo voleva rileggere, forse lo voleva pubblicare. Ma era l’estate del 2011 e nell’autunno si ammalò».

Le atmosfere di “Per Isabel” riportano alla mente “Requiem”, romanzo di Tabucchi pubblicato nel 1992. C’è ancora, infatti, quello strano senso di spaesamento, di sospensione in uno scenario in cui realtà e sogno si intrecciano, si confondono. Uno sconvolgimento che nel “Requiem” era non soltanto emotivo, ma anche fisico. Soffocato dal caldo torrido di una Lisbona di fine luglio, il protagonista grondava infatti di sudore ed era vittima dell’ansia: «figlio (…) – diceva la Vecchia Zingara che vendeva false Lacoste appena fuori dal cimitero dos Prazeres – ascolta, così non puoi andare, non puoi vivere da due parti, dalla parte della realtà e dalla parte del sogno, così ti vengono le allucinazioni, sei come un sonnambulo». Sì, un sonnambulo che vagava alla ricerca di quelle risposte a lui indispensabili per trovare la pace interiore, per capire cos’era successo tra Isabel, la donna che aveva amato, e Slowacki detto Tadeus, scrittore di origini polacche suo amico. Un’anima errante, quindi, esattamente come il protagonista di quest’altro romanzo: lo stesso Tadeus di cui abbiamo già sentito parlare in “Requiem”.

Lo sfondo, poi, è sempre la città di Lisbona. Una Lisbona anestetizzata, assopita e che, come nel caso dell’altro grande romanzo di Tabucchi, “Sostiene Pereira”, vive gli anni della mediocrità imposta dalla dittatura salazarista. «Il Portogallo – racconta, infatti, l’amica di gioventù della donna che Tadeus sta cercando, la stessa Isabel di “Requiem”- era un paese dimenticato dall’Europa e dimentico dell’Europa, eravamo chiusi in un vicolo cieco, una specie di convento muffito il cui sagrestano era António de Oliveira Salazar». Sono ancora una volta, quindi, gli anni della dittatura, anche se come in “Requiem” non è poi così semplice distinguere tra quello che è stato e quello che sarà. Tempi verbali al passato che si confondono con quelli al futuro, una conversazione telepatica tra una donna che si trova nel noto caffè Brasileira negli anni Sessanta e il protagonista, situato in un periodo successivo, in cui la dittatura non c’è più, in un continuo spostarsi da un luogo all’altro che non sembra subire il passare del tempo: anche “Per Isabel” crea spaesamento, disorienta.

TabucchiTornano, poi, i personaggi: se in “Requiem” il protagonista cercava Isabel e Tadeus, entrambi morti, per capire la natura del loro rapporto da vivi, qui è Tadeus a condurre una sorta di inchiesta, un mandala di cerchi concentrici che un po’ alla volta lo porta a mettere insieme i pezzi del mosaico, lo conduce verso il centro, ossia Isabel, l’unica in grado di rispondere a una domanda sul passato e di donargli la serenità. Un lungo viaggio attraverso il Portogallo, Macao e la Svizzera per incontrare chi potrebbe sapere qualcosa su di lei: una serie di figure talvolta bizzarre, dal “Fantasma che cammina” all’uomo con cilindro bianco e violino che ha «diretto – dice – tutto lo spartito», conducendo Tadeus sino a Isabel. Di lei, poi, a differenza del romanzo del ’92 oggi sappiamo qualcosa in più: originale, anticonformista e imprigionata per via delle sue idee politiche, sembra sia caduta in una depressione che, forse, l’ha portata ad abortire (il figlio di chi? Di Tadeus o del protagonista di “Requiem”?) e a suicidarsi. Forse, perché quello che si sa è quanto raccontato da persone che l’hanno conosciuta, da chi l’ha amata, da chi l’ha guardata da un punto di osservazione del tutto soggettivo. A noi, appassionati lettori di Tabucchi, non resta che provare, esattamente come Tadeus, a mettere insieme i pezzi, a ricostruire una trama trasversale, che riesca a unire le suggestioni e i dettagli di entrambi i romanzi. Mentre a Isabel, apparsa alla fine del romanzo nel golfo di Napoli, non rimane che l’assoluzione: «volevi liberarti dei tuoi rimorsi (…), Tadeus, non c’è nessun bastardino tuo nel mondo, puoi andare in pace, il tuo mandala è compiuto».

Valentina Sala

 

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