Ecco perché viaggiare fa bene e ci rende felici

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Ho sempre pensato che l’umanità fosse in cammino e che ciascuno di noi trovasse la felicità non nel denaro, bensì “nel piacere” della scoperta quotidiana e questo mio pensiero trova conferma oggi in un approfondimento uscito nell’ultimo numero di Focus che al tema del “Viaggio” ha riservato la copertina, con un titolo che invita certamente alla lettura: “Perché viaggiare fa bene”.

Ho sempre ritenuto che il viaggio del singolo cominciasse con il concepimento, cioè quando l’ovulo è fecondato dallo spermatozoo, e che continuasse fino alla notte dei tempi. La vita non finisce con la morte, a prescindere dalla nostra fede, perché ognuno di noi, anche senza concepire una nuova creatura, lascia una traccia di sé nelle generazioni future. L’umanità è in cammino poiché si evolve di continuo, anche se noi spesso rimpiangiamo il passato o tendiamo verso il futuro, senza trarre beneficio per un solo istante dal momento presente.

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Il viaggio, nel senso letterale del termine, allarga quindi i nostri orizzonti, poiché l’umanità è nata per muoversi. La staticità non ci appartiene e, quando finiamo nella trappola della paura e delle mille insicurezze che ci sono state trasmesse e che ci impediscono di “spostarci”, tocchiamo il punto più alto dell’infelicità. Raffaella Procenzano nell’articolo, pubblicato su Focus da pagina 14, ha riportato i pareri di illustri scienziati e accademici, i quali hanno tutti confermato che “esplorare ci viene naturale” e che “una vacanza, soprattutto se breve, ci regala benessere”. Perché? I nostri antenati erano nomadi e ci hanno trasmesso il gene del “viaggio”. I benefici sono innanzitutto cerebrali. Una vacanza, in posti ovviamente sconosciuti, aumenta il numero dei neuroni.

Non voglio svelarvi i particolari del meticoloso articolo pubblicato sulla rivista scientifica, che potete acquistare in edicola, mi preme al contrario soffermarmi sull’importanza di aprire la mente a nuove realtà, uscendo dal pregiudizio e dai paradigmi che ci ingabbiano. In Italia, soprattutto a Sud, quando nasce un bambino in genere i genitori, in primis le mamme ansiose, edificano una sorta di prigione “domestica” fino a quanto l’infante non raggiunge un’età considerata dalla stragrande maggioranza idonea ai viaggi, che nelle famiglie più aperte e con maggiori disponibilità economiche di solito coincide con i sette/otto anni.

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Questo, a mio parere (e non solo), è un grave torto che si fa ai bambini, che hanno la necessità, proprio come noi, di muoversi già dai primi mesi di vita, per favorire il processo di apprendimento. Tuttavia le nostre paure ci impediscono di oltrepassare il velo di maya, di cui parlava anche Arthur Schopenhauer. Viaggiare fa bene agli adulti e ai più piccoli, perché ogni itinerario (anche in località non troppo distanti) ci permette di capire che il nostro microcosmo non è “la realtà” bensì “una realtà”, in una moltitudine di stili di vita e costumi. Da questa nuova consapevolezza nasce il rispetto per quei gruppi etnici che noi riteniamo diversi, magari solo perché loro hanno abitudini differenti o perché il loro colore della pelle non è come il nostro. Viaggiare, quindi, per crescere. Come singoli, come famiglie, come umanità. Viaggiare per migliorare. Fate… facciamo del viaggio uno stile di vita.

Maria Ianniciello

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