UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

La Stagione di Prosa 2012-2013 del Teatro Goldoni di Venezia prosegue mercoledì 12 dicembre alle 20.30 con “Un tram che si chiama desiderio”, lo spettacolo di Tennessee Williams nella traduzione di Masolino d’Amico. Prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile di Catania, è interpretato da Laura Marinoni, Vinicio Marchioni, Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone e Rosario Tedesco per la regia di Antonio Latella e resterà in scena fino al 16 dicembre.

Lo spettacolo ha ricevuto agli Ubu 2012 quattro nomination: spettacolo dell’anno, regia (Antonio Latella), attrice (Laura Marinoni), attrice non protagonista (Elisabetta Valgoi). Antonio Latella, regista quarantenne che nel giro di pochi anni ha conquistato fama internazionale, ha recentemente fondato la compagnia Stabile/Mobile, e ha da poco concluso l’esperienza alla direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli. La regia di Un tram che si chiama desiderio segna la sua prima collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione e sviluppa la ricerca di Latella sull’America, già fonte d’ispirazione del ciclo Franca mente me ne infischio, work in progress in cinque episodi ispirati a Via col Vento.

Blanche, la protagonista femminile, nel lavoro di Latella è interpretata da Laura Marinoni che con il regista napoletano ha già lavorato nel 2007 in Le lacrime amare di Petra Von Kant di R.W. Fassbinder, spettacolo che le è valso il premio Eleonora Duse. Un cast di ottimi interpreti che – accanto a Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone e Rosario Tedesco attori che accompagnano da anni il lavoro di Latella – vede in scena Vinicio Marchioni attore della scuola di Luca Ronconi, ‘Il Freddo’ della serie televisiva ‘Romanzo Criminale’ di Sky. Il disegno registico di Latella è affiancato da due elementi drammaturgicamente fondamentali: le luci di Robert John Resteghini e il suono di Franco Visioli che ha elaborato l’importante colonna sonora che ‘abita’  lo spettacolo.

«Nel testo Blanche pronuncia una battuta che credo sia rivelatrice: Non voglio realismi. Si capisce benissimo che l’autore intende il realismo della messinscena, non certo della scrittura. Tennessee Williams ha bisogno di raccontare la realtà intima che lo circonda attraverso la scrittura teatrale per poterla astrarre dalla vita quotidiana e renderla simbolica: tale procedimento rappresenta il punto più alto della sua ricerca. Per questo motivo mettere in scena i suoi drammi in chiave realistica rischierebbe di snaturare la crudeltà intrinseca alla sua scrittura. (…) La battuta sul realismo che ho appena citato è la chiave di lettura del mio allestimento. Ho capovolto la storia concentrandomi sulla scena finale in cui Blanche si abbandona al medico che la allontana dalla casa. Da questa prospettiva lei rivive l’intera vicenda a ritroso come in una seduta di analisi. Gli spettatori vedranno quindi l’intero dramma accadere nella testa di Blanche, come se si trattasse della memoria di una vicenda filtrata dai suoi occhi. Credo che da questa prospettiva il testo possa assumere una dimensione contemporanea: la sua mente diventa il luogo dell’azione, lo spazio scenico. (…) La scena è colma di oggetti quotidiani: un tavolo, un frigorifero, una sedia, un letto… Per me era importante ricostruire l’ambiente domestico e poi trasformarlo in ambiente psichico: gli oggetti in scena sono memoria di se stessi, hanno perso la loro funzione d’uso per diventare proiezioni della mente di Blanche. Per questa ragione gli oggetti non ricevono luce ma illuminano, non subiscono il dramma ma contribuiscono a diffonderlo. Mi piace pensare ai primi film di Wim Wenders in cui gli oggetti creavano universi con le loro ombre, con le loro proiezioni… Annelisa Zaccheria ha svolto un lavoro straordinario trasformando la casa in un labirinto della mente, al centro del quale ha posto un faro da 5000 watt che sovraespone costantemente la protagonista. In questo senso, la scenografia diventa drammaturgia, drammaturgia del pensiero…», scrive Antonio Latella.

 

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