Panama Papers: recensione del film di Netflix

Da Traffic e da Erin Brockovich ne è passata di acqua sotto i ponti per Steven Soderbergh, regista prodigio (ha cominciato a girare film alla modica età di 13 anni) che ha fatto suo il Cinema di denuncia portando sul grande schermo capolavori come quelli appena citati ma anche la famosa trilogia di Ocean’s. Ha un debole per le truffe, Steven, e infatti in Panama Papers  – il film che potete vedere su Netflix dal 18 ottobre 2019 – imbrogli e tranelli sono all’ordine del giorno! Scopriamo di più nella recensione (In calce trovi la versione video, ndr).

Panama Papers recensione

Panama Papers, recensione

Panama Papers è un film disilluso che cerca di mostrarci, in modo alternativo, più facce della verità dando subito la parola ai due avvocati dello studio legale di Panama City gestito da Jürgen Mossack e Ramón Fonseca (interpretati da Gary Oldman e Antonio Banderas) che ci spiegano come si è passati dalla logica del baratto a quella del denaro con il quale si può ottenere il tanto agognato potere.

Ma la macchina da presa indugia soprattutto sulla vita di Ellen Martin (Meryl Streep) e del marito facendoci vedere come un banale incidente  – avvenuto ad una piccola imbarcazione turistica – possa togliere la vita in un attimo ad oltre venti individui, tra cui il coniuge di Ellen.

Panama Papers e la Ellen di Meryl Streep

Meryl Streep dà dunque le sembianze ad una donna qualunque, apparentemente impacciata che simboleggia una delle tante persone truffate dallo studio legale. In Panama Papers la fiction, però, racconta la realtà perché il film, partendo dal libro di Jake Bernstein, narra una storia realmente accaduta.

La vicenda è stata divulgata, difatti, da un gruppo di giornalisti investigativi che hanno alzato i riflettori su milioni i file attraverso i quali sono state svelate le attività illecite di molte personalità ricche, autorevoli e famose.

Queste, affidandosi allo studio legale Mossack-Fonseca, usavano come scudo delle società offshore create nei cosiddetti ‘paradisi fiscali’ per evadere il fisco e per numerose attività di riciclaggio.

Le aziende erano dei gusci vuoti come li definisce a un certo punto del film Ellen. La donna, infatti, comincia ad indagare per fare luce sulla frode assicurativa che l’ha vista coinvolta.

Ma non pensate ad un’indagine nel senso letterale del termine, come fa per esempio Erin Brockovich. Chi sta da questa parte dello schermo non segue le battaglie del personaggio di Meryl Streep, non si affeziona lei, pur provando tenerezza ed empatia, perché il film Panama Papers vuole solo documentare quanto scoperto nel 2015.

L’intento? Dimostrarci come le azioni di un gruppo di persone finiscano per compromettere la vita di altre. Ne viene fuori che tutto il sistema è marcio ed invischiato. Un applauso a Meryl per il monologo finale che suona anche come una sorta di comizio.

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Panama Papers: la sceneggiatura di Scott Z. Burns

Lo sceneggiatore, Scott Z. Burns, ha calibrato ogni parola in questo film creando un puzzle di sketch che rende la pellicola più dinamica e leggera, con note tragicomiche. Da sottolineare, inoltre, che Burns ha già lavorato con Soderbergh scrivendo la sceneggiatura di film come The informant!, Contagion ed Effetti Collaterali. Quindi, c’è intesa fra i due che sono abituati a mescolare tra loro più generi e sottogeneri cinematografici.

Insomma, Panama Papers è un film interessante ma non brillante che incuriosisce, spingendo così lo spettatore a documentarsi per saperne di più. E questo, certamente, è un valore aggiunto.

N.B. In Italia si sono occupati della vicenda dei Panama Papers i giornalisti investigativi del settimanale L’Espresso:http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/05/04/news/panama-papers-l-archivio-mossack-fonseca-finisce-in-rete-1.263999 h. (Marica Movie and Books)

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