Bambini e verdure: non solo neofobia, ecco come fargliele mangiare

Mamme a voi: qual è la cosa più difficile, a volte addirittura estenuante, da gestire nell’alimentazione dei vostri figli? Cosa proprio non riuscite a proporre e far mangiare, in tutti i modi e in tutte le salse li proponete loro? Sfido chiunque a non rispondere: le VERDURE! Eh sì proprio loro, sempre e solo le temutissime verdure, respinte da quasi, se non tutti, i bambini. E se anche qualche mamma fortuna tra voi si salva (e io qui alzo la mano perché devo ammettere che fino ad ora non ho ancora incontrato questa difficoltà: i miei bimbi mangiano qualsiasi tipo di verdura proponga loro, senza che io debba insistere e senza alcun tipo di rifiuto e, credetemi, non sono degli extra-terrestri!) il pericolo è sempre in agguato: da un momento all’altro potrebbero sviluppare quest’antipatia e respingere alimenti, in genere proprio le verdure, che magari fino ad ora avevano mangiato senza alcun problema.

C’è da dire che nei casi più fortunati, a parte pochissime eccezioni, se la neofobia (timore del nuovo) non si manifesta è solo merito della mamma, che ha saputo correttamente svezzare e preparare (sin dal grembo) il proprio piccolo all’incontro con questi alimenti più ostici e difficili, che per natura genetica il bambino è portato a rifiutare. Questi restano però i casi più rari mentre per la maggioranza è una lotta continua tra chi ha la meglio, e in genere i bambini (che sono furbissimi) la spuntano mentre alle mamme non resta che gettare la spugna, dopo i numerosi tentativi fallimentari.

E allora, mamme meno fortunate, mi rivolgo soprattutto a voi: tirate un sospiro di sollievo perché non è certo tutta colpa vostra se vostro figlio proprio non ne vuole sapere di mangiare i cavoli; bensì sappiate che vi scontrate con un atteggiamento di rifiuto che affonda radici nella genetica ed io in questo articolo vi voglio svelare proprio i meccanismi che determinano questa neofobia, perché solo capendone l’origine si riescono a trovare i giusti mezzi per vincere in questa dura battaglia. Quindi vi illustrerò gli errori da non commettere e le buone azioni da mettere in pratica sempre, soprattutto nei casi di neofobia, per avere finalmente la meglio e far apprezzare ai vostri figli anche le verdure!

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Questa storia inizia nel grembo materno… è qui che il bambino inizia a sviluppare i primi recettori del gusto. Faccio una piccolissima ma necessaria regressione: sapete quanti gusti possiamo percepire? Solo 5: salato, dolce, amaro, acido, umami (che corrisponde al gusto saporito). E in che modo? Grazie a degli specifici recettori del gusto (uno per ciascuno dei cinque gusti diversi) che si trovano all’apice delle cellule gustative distribuite nelle diverse papille della lingua e del palato molle (e pensate persino dell’intestino!).

Il lattante non è una tabula rasa sul gusto, al contrario:

  • ha già attivi tutti i recettori dei gusti, geneticamente determinati dalla ricombinazione dei geni paterni e materni.
  • Ha l’esperienza dell’alimentazione prenatale e post natale della madre
  • Per ragioni genetiche preferisce il dolce (carboidrati e calorie) e il salato (in particolare dal 4° mese sviluppa il gusto per il salato anche se allattato al seno).
  • Evita amaro ed acido, diversamente dall’adulto: sempre per ragioni genetiche si protegge da tossine, veleni e batteri.
  • Gradisce l’umami: dal 4° mese in poi. Nel contesto di altri gusti salato ed umami sono “insaporenti” dei cibi: dunque dal 4° mese sviluppa il “SAPORE”!

 

A tutto questo c’è chiaramente una spiegazione: nella fascia da 0 a 3 anni il bimbo ha solo la necessità di accrescersi quindi di nutrirsi di alimenti che gli possano fornire prontamente energia e calorie e in natura (e specifico in natura e non nell’industria alimentare odierna) il cibo più altamente energetico è rappresentato da dolci come la frutta e il miele (no merendine e brioche!). Qui c’è una precisa influenza genetica: noi possediamo lo stesso patrimonio genetico del nostro antenato, l’uomo primitivo, ciò che però è cambiato è l’ambiente circostante: prima l’ambiente naturale dei primitivi erano la giungla e la savana dove cibi come frutta, bacche, miele… erano facilmente reperibili e quindi sempre a disposizione per fornire quell’energia di pronto consumo e utilizzo per permettere la tipica risposta di attacco o fuga di fronte ad un possibile pericolo (in genere una bestia!).

Oggi invece da cosa è caratterizzato il nostro ambiente circostante? Dall’abbondanza, dal lusso, dalla comodità che porta inattività e da cibo industriale, energetico e calorico senz’ombra di dubbio ma non di certo allo stesso tempo nutriente. Quindi abbiamo a disposizione “cibo spazzatura”, molto calorico, ma in un ambiente in cui tutte queste sporche e vuote calorie non servono. Risultato? Dall’ambiente naturale della savana siamo passati ad un ambiente obesogeno e quelle stesse scelte alimentari che ci hanno fatto sopravvivere nella caverna ora, nel supermercato, ci accoppano! Nel frattempo in tutti questi milioni di anni i geni primordiali si sono conservati e sono questi che determinano nei bambini (e anche negli adulti) la predilezione e ricerca di cibi dolci, salati e calorici, che però oggi sono forniti dal cibo confezionato che ha triplicato la densità calorica media in un ambiente di consumo energetico che però non esiste più.

bambini e verdure

Per le stesse ragioni genetiche appena descritte il bambino tende ad evitare gli alimenti amari ed acidi, in natura rappresentati proprio dalle verdure, che come sistema fisico e chimico di difesa contro gli erbivori contengono al loro interno antinutrienti e persino veleni (pensiamo ad esempio ad alcune resine o bacche selvatiche). Per tal motivo gli uomini e gli animali hanno sviluppato strategie di difesa dai veleni e dalle tossine del mondo vegetale: ecco che il nostro disgusto verso i sapori amari è dovuto ad una prudenza primordiale, dal momento che la maggior parte dei veleni naturali ha un sapore amaro.

Da qui parte poi un secondo meccanismo di protezione, definito dagli esperti prudenza atavica, che sottintende il concetto di amaro = veleno = pericoloso, quindi l’organismo si protegge da ciò che non conosce e ciò che risulta amaro perché potrebbe essere velenoso, di conseguenza lo rifiuta.

Capiamo così da dove nasce la neofobia, cioè la paura del nuovo, dei nostri bimbi ed ecco quindi svelato il motivo per cui questa neofobia si manifesta proprio nei confronti di alimenti come le verdure e non diversamente per amidi, farine, zuccheri e  grassi. In altre parole la neofobia è sinergica con il disgusto per cibi meno ‘facili’.

A questa eredità di geni primordiali poi si aggiunge un altro fattore che è determinante per lo sviluppo del gusto a 5 anni, è cioè il tipo di latte che il bambino riceve da lattante:

  • Al seno riceve i sapori scelti dalla madre e “se li scrive”;
  • Se beve latti idrolisati continua a preferire il sapore del latte e l’acido;
  • Se beve latte di soia preferisce l’amaro ed i broccoli.

E poi c’è lo svezzamento e qui ci si gioca il tutto per tutto. Il graduale passaggio dall’alimentazione mono-componente (latte) alla molteplicità degli alimenti utilizzati dai mammiferi non corrisponde solo allo sviluppo di capacità digestive, già presenti  ed efficaci ben prima dello svezzamento, bensì all’incontro con la varietà dei sapori che indirizzano la scelta degli alimenti.

Il gusto e le scelte alimentari durante lo svezzamento sono dovute a:

  • Patrimonio genetico ;
  • Esperienze alimentari della madre durante la gravidanza;
  • Percezione di sapori generati dall’alimentazione materna durante l’allattamento: i bambini allattati al seno hanno infatti esperienze gustative “umane” mentre quelli allattati con latte artificiale avranno esperienze gustative “bovine” meno compatibili col patrimonio genico del neonato;
  • L’esperienza gustativa degli alimenti offerti durante lo svezzamento.

 

Considerato tutto ciò è fondamentale in questa delicata fase dell’alimentazione dei nostri bimbi iniziare a proporre un po’ alla volta e gradualmente tutti i tipi di verdure e ortaggi perché il bambino che non sperimenta i vegetali dallo svezzamento tenderà a respingerli con forza nel secondo anno di vita in poi. C’è da precisare però che in questa fase il bambino ha un intestino ancora non completamente sviluppato per cui la fibra contenuta nella verdura potrebbe causare non pochi mal di pancia. È fondamentale quindi iniziare dalla verdura meno fibrosa e più dolce (zucca e carote ad esempio) e proporla passata al passaverdure (non con il frullatore che non elimina le fibre ma le sminuzza soltanto) così da essere più tollerata e di conseguenza maggiormente gradita.

L’importante però è proporla sempre al naturale e quindi in purezza, non camuffata, mascherata o con aggiunta di sale o formaggi perché così facendo andremo solo ad alimentare quella predilezione per il salato e il saporito che già hanno innata, e non gli daremo modo invece di abituarsi al sapore reale dell’alimento (questo vale un po’ per tutti gli alimenti, non solo le verdure).

Dopo lo svezzamento la strada è ancora in salita perché entrano in gioco altri aspetti: in primis il bambino inizia a capire, interagire ma soprattutto ad imitare noi genitori, in tutto, anche nelle scelte alimentari che compiamo. Quindi è fondamentale dare il buon esempio a tavola: non possiamo pretendere che nostro figlio mangi le zucchine se noi per primi non lo facciamo.

A tal proposito è una buona abitudine portare tutte le pietanze del pasto a tavola, incluse le verdure, magari in più tipologie o versioni, e lasciare al bambino la facoltà di scelta e anche di autoregolazione cosa che hanno sviluppata molto più di noi (mangiano solo quando hanno effettivamente fame e mai più del dovuto; questo meccanismo si tende a perdere invece nell’adulto).

Se durante lo svezzamento li abbiamo correttamente abituati a tutti i sapori, incluso l’amaro, e se noi per primi quando siamo a tavola con loro ad ogni pasto mangiamo sempre almeno una porzione di insalata, piuttosto che di carote o di altro contorno, per imitazione lo faranno anche i più piccoli. Ovviamente lasciarli liberi non vuol dire “allo sbaraglio”, al contrario guidarli, orientarli nel compiere le loro scelte a tavola, magari ponendogli delle proposte a mò di interrogativo (con domande del tipo: che ne dici se vicino a questo pollo ci mettiamo un po’ di verdure colorate, magari delle carote o dei pomodori?) e non invece come imposizione.

 Altro suggerimento: per ottenere che un bimbo si adatti ad un  alimento è necessario un lungo e paziente training: sono necessarie almeno 7-8  esposizioni prima che il bambino lo accetti in  modo stabile.  Queste ripetute e costanti esposizioni però devono essere svolte con estrema dolcezza, senza ricatti, né ricompense, né alternative. Chiarisco meglio il concetto: se alle prime esposizioni il bambino si rifiuta innanzitutto non minacciatelo e non insistete magari utilizzando dei pericolosi ricatti perché non farete altro che alimentarne il rifiuto confermando l’associazione negativa “verdura=pericolo”. Al contrario cercate di dimostrarvi ai lori occhi comprensivi e di essere persuasivi facendo in modo che vi osservino mangiare le verdure con gusto.

Allo stesso tempo non dovete nemmeno promettere loro una ricompensa se finiranno il piatto di spinaci perché potrebbe diventare una spiacevole abitudine che può facilmente sfociare in futuri capricci. Né tanto meno proporre loro una alternativa: se rifiutano il piatto di pasta e zucchine mai dare in sostituzione pasta al sugo per paura che non mangiano e restino digiuni, perché ricordatevi che i bambini sono molto furbi e laddove trovano un punto debole faranno di tutto per raggirare le vostre proposte.

Quindi meglio che restano digiuni a quel pasto, vedrete che se hanno davvero fame dopo un po’ lo mangeranno da soli altrimenti quando (anche se a distanza di qualche ora dal pranzo) vi chiederanno qualcosa da mangiare starà a voi essere abili a non offrire una merendina o uno snack (cosa molto immediata lo so ma per nulla salutare) ma al contrario a riproporre il piatto del pasto saltato, o in alternativa uno spuntino salutare quale può essere una bruschetta, un frutto o un pezzettino di parmigiano.

Ultimo ma non meno importante suggerimento: coinvolgete i vostri bambini nella preparazione delle pietanze e rendeteli partecipi anche delle scelte, proponendo loro due o tre alternative per il pasto tra cui scegliere. Questo è un ottimo metodo per avvicinare i più piccoli al mondo della cucina, trasformando l’incontro con il cibo, anche quello più difficile, in un momento di gioco, creatività e collaborazione. Se prepareranno da soli (ovviamente sempre sotto la vostra supervisione) i lori piatti, saranno più invogliati a mangiarli, si sentiranno grandi per un po’, e grazie al vostro supporto fieri e soddisfatti del lavoro svolto.

A seconda delle età le mansioni da affidare loro cambiano e possono via via diventare sempre più impegnative (aiutarci nella spesa e a sistemare la dispensa, girare il sugo nella pentola, apparecchiare la tavola, tagliare le verdure…), ma a volte basta poco, soprattutto per i più piccoli, anche solo farvi aiutare a girare l’insalata mentre la condite per stimolare la loro curiosità e la confidenza con il cibo. Provate!

Infine un errore molto frequente tra molte mamme è quello di nascondere o mascherare le verdure dietro qualsiasi preparazione, ad esempio fritte come le melanzane o cosparse di mozzarella e besciamella, o ancore nelle polpette o nel sugo. Come già detto per lo svezzamento anche quando sono più grandicelli i vostri bambini devono abituarsi al sapore naturale del cibo, alla sua forma e consistenza, quindi meglio che rifiutino di mangiare per 4-5 volte le melanzane grigliate anziché proporgliele sempre e solo fritte: solo in questo modo dopo 7-8 volte imparerà a mangiarle spontaneamente.

Quindi di fronte ad un rifiuto per un determinato tipo di verdura mai camuffarla purché la mangi, al contrario deve essere sempre ben visibile nel piatto così che il bambino impari anche a distinguerla nel colore e nella forma e provare invece ad abbinarla ad alimenti più graditi o a più alta densità energetica: ad esempio insalata mista con pinoli tostati e uvetta, zucchine gratinate al forno con parmigiano… Anche in questo caso provate e resterete sorpresi.

Vi ho parlato dunque dei motivi che portano allo sviluppo della neofobia nei bambini, e delle varie teorie del perché rifiutino proprio determinati cibi. Queste tuttavia non devono essere delle giustificazioni per gettare la spugna, pensando che siano dei comportamenti non modificabili. Al contrario conoscere i veri motivi ci può solo aiutare ad adottare le giuste strategie, a spronarci a migliorare il nostro atteggiamento e ad evitare di commettere i più comuni errori.

In sostanza è possibile indirizzare le scelte alimentari con

  1. ESPOSIZIONE: iniziare dallo svezzamento, anche facendo assaggiare un poco il cibo della mamma;
  2. ESEMPIO: Il fattore più correlato al consumo di frutta e vegetali è il consumo degli stessi da parte dei genitori;
  3. NESSUNA GRATIFICAZIONE: la gratificazione ha effetti negativi sulle scelte, se si gratifica l’accettazione di un cibo con una cosa più buona (effetto paradosso) meglio tentare 9 volte gratificando gradualmente.
  4. GIOCO E MANIPOLAZIONE: ricordatevi che c’è da divertirsi, non solo lavorare!

 

La componente genetica del gusto nell’uomo per quanto presente non è molto rilevante: l’apprendimento, la tradizione e la cultura possono modificare fortemente le preferenze che sarebbero indotte geneticamente. Tutto sta ad impegnarsi, partendo dallo svezzamento a cui bisogna ridare la straordinaria funzione  di educazione al gusto. Non certo aprendo un barattolo… Ed  ora? … sta a voi la scelta!!!  (Dott.ssa Angela Pugliese, biologa nutrizionista)

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