Caravaggio, quando andava in banca…

(Fig 1)
(Fig 1)

 

  Con i soldi Michelangelo Merisi detto il Caravaggio conviveva a rischio, come con le ragazze e i… ragazzi. Lo raccontano le fonti del suo tempo, a cominciare da quella che lo dice nato non a Caravaggio, una trentina di chilometri a sud di Bergamo, bensì a Milano dove visse il suo primo amore. Lei si chiamava Peppa, abitava in Via dell’Anfiteatro vicino al Parco Sempione, era povera e lui le promise di sposarla. Parlava di soldi ma sapeva di avere poco o niente. Scappò via inseguito dai fratelli della ragazzina milanese, per prendersi come amante l’apprendista Francesco Boneri, il noto Checco, che fu poi protagonista dei suoi giovani nudi maschili.        

   Arrivato a Roma nel 1592, andò ospite di Pandolfo Pucci, un Canonico di San Pietro che promise di comprare i suoi quadri a denari, ma pagava dandogli da mangiare “insalata per antipasto, pasto e postpasto, companatico e stecco”. Per l’artista che a vent’anni voleva il tenore di vita dei suoi ammiratori, nobili, cardinali e mercanti, era assurdo esser tenuto a stecchetto. Caravaggio finì per chiamarlo Monsignor Insalata, abbandonò il Canonico e si mise in proprio. Fu Ottavio Costa, un banchiere ligure proprietario con lo spagnolo Juan Henriquez de Herrera della banca più ricca di Roma, a diventare il suo primo fan. Glielo aveva fatto conoscere proprio Monsignor Insalata, cliente di quella banca. Visto che le opere del Merisi andavano a ruba, Ottavio Costa provò a puntare sul loro valore economico, ma riuscì ad acquistarne soltanto tre.

Fig. 2
Fig. 2

   

   Ormai all’apice del successo, Caravaggio diventò di casa nel Banco Herrera&Costa. Lo disse lui stesso in un processo a cui fu sottoposto per avere offeso con versi satirici il pittore Giovanni Baglione. Conosceva quasi tutti i migliori pittori di Roma, quindi i loro protettori e mecenati, li incontrava in quel Banco che aveva sede nel Palazzo Gaddi-Bandini in Via dei Banchi Nuovi, sul percorso che da Piazza Navona porta a San Pietro. Lì, ai primi del Seicento il duo Herrera e Costa gestiva le finanze della Camera Apostolica, in pratica erano i banchieri del papa e prestavano denaro ai potenti d’Europa. Lì avvenivano pagamenti ad alto livello, compresi quelli a Caravaggio, un argomento di cui non si parla mai.

Fig. 3
Fig. 3

   

  Qualche anno fa, tra le carte del Banco passate nell’Archivio di Stato di Siena è stato trovato un documento straordinario (FIG. 1), scritto da lui a mano: Il dì 21 Maggio 1602. Io Michel’Angelo Marrisi o riceuto di più dal Ill.re S.r Ottavio Costa a bon conto d’un quadro ch’io gli dipingo venti schudi di moneta questo dì 21 Maggio 1602. Io Michel’Angelo Marrisi.  Appaiono considerevoli sia l’anticipo, allora solitamente un quinto, sia il prezzo totale del quadro – non in carta, ma duecento scudi “di moneta”, le piastre d’argento di papa Clemente VIII (FIG. 2) – concordato certamente per il San Giovanni Battista che ritrae Checco Boneri (Kansas City USA, Nelson-Atkins Museum of Art – FIG. 3), eseguito appunto nel 1602. La ricevuta trovata nelle cartelle del Banco Herrera&Costa è il secondo autografo del Caravaggio a noi pervenuto, dopo quello relativo alla Madonna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese –FIG. 4) commissionata dall’Arciconfraternita dei Palafrenieri Pontifici, che la rifiutò perché la Madonna scandalosamente scollata ritraeva Lena, una prostituta. Il Caravaggio (FIG. 5), si sa, sebbene a contatto con committenti colti e raffinati, continuò fino alla morte a frequentare ambienti per lo più corrotti e a parlare e scrivere senza regole, compreso il suo cognome, come ha svelato il nuovo autografo.

                                                                    ELIO  GALASSO

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