Venezia 71: i premiati e i vinti di un’edizione sottotono

Anche la 71.Mostra del Cinema di Venezia ha avuto il suo epilogo ed è arrivato, come sempre, il tempo dei bilanci. Il Leone d’Oro assegnato al film svedese di Roy Andersson dal titolo impronunciabile, che molto hanno rinominato “Il Piccione”, non ha convinto proprio tutti. Stiamo parlando di un regista quasi sconosciuto in Italia, dove i suoi film non hanno trovato quasi mai una collocazione in sala. Questo Leone potrebbe rappresentare finalmente l’occasione di incontro tra il pubblico italiani e la cinematografia di un virtuoso e innovativo cineasta. Condivisibile ma poco coraggioso è stato invece il Leone d’Argento per la miglior regia assegnato ad Andrei Konchalovsky e al suo “postino” nelle lande desolate della Russia. Il premio sarebbe stato certamente più meritato dal Maestro giapponese Shinya Tsukamoto che, con il suo Nobi – Fires on the Plain, ha realizzato un fantastico ritratto delle atrocità della guerra, filtrate attraverso lo sguardo di un soldato solo e traumatizzato. A una fotografia che ci riporta all’indimenticabile Apocalypse Now di Francis Ford Coppola si aggiunge la performance da brividi del protagonista, interpretato dallo stesso Tsukamoto.

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Tra i tre bei film italiani in concorso a spuntarla è stato Hungry Hearts di Saverio Costanzo, vittima dei critici benpensanti e dei loro inossidabili pregiudizi. I protagonisti del film, Alba Rohrwacher e Adam Driver, hanno realizzato una doppietta storica, portando a casa entrambe le Coppe Volpi per le migliori interpretazioni, maschile e femminile. Secondo Carlo Verdone, presente in giuria, nonostante la qualità de Il Giovane Favoloso di Mario Martone e Anime Nere di Francesco Munzi, alla fine a prevalere sono state le emozioni che la giovane coppia di attori è riuscita a trasmettere a tutti. Il premio più meritato è stato il Gran Premio della Giuria con il quale è stato insignito Joshua Oppenheimer. Dopo il capolavoro The Act of Killing, il documentarista statunitense torna a trattare il genocidio indonesiano perpetuato ai danni dei comunisti nel suo toccante e significativo The Look of Silence. La sua cinepresa si è fatta strada nei meandri del dolore e della paura dei familiari delle vittime, non solo costrette a convivere con i loro aguzzini, ma anche sospesi tra la rabbia per la loro impunità e il timore che quanto accaduto possa ripetersi.

Se i tre film francesi hanno ben poco da recriminare alla giuria presieduta da Alexandre Desplat, è Birdman del messicano Alejandro Gonzalez Inarritu a poter avanzare delle recriminazioni. Era il film migliore del concorso sotto tutti i punti di vista con un cast stellare in stato di grazia (su tutti Edward Norton ed Emma Stone) e una scrittura strabiliante frutto di un lavoro di anni. La notte degli Oscar potrebbe avere ben altro epilogo per “l’uomo uccello”. Nessun premio per Al Pacino che ha presentato forse due dei film più brutti visti quest’anno al Lido ma che, secondo alcuni, avrebbe meritato un riconoscimento solamente per averci onorato della sua presenza.

Per i cinefili il countdown per Venezia 72 è già cominciato ma non si può fare a meno di constatare quanta poca affluenza di pubblico ci sia stata quest’anno. La Mostra ha perso già da tempo la propria centralità, ma che gli stessi veneziani dimostrino un disinteresse tale poteva accadere solo nella peggiore delle ipotesi. Se escludiamo Al Pacino e il film su Pasolini, le sale, comprese quelle delle proiezioni stampa, erano spesso semideserte e il resto degli ospiti non era all’altezza delle aspettative di quel pubblico che lo scorso anno delirava per la presenza del maghetto di Harry Potter, Daniel Radcliffe. Purtroppo la Mostra sembra vegetare in uno stato di coma irreversibile. Toronto e New York le hanno rubato da tempo lo scettro della qualità e del glamour.

Rosa Maiuccaro

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