Terremoto Emilia, imprese agricole a rischio

«Le 41 nuove scosse sismiche che si sono susseguite durante la notte non piegano lo spirito degli agricoltori emiliani che chiedono una cosa sopra tutte: poter riprendere al più presto il lavoro nelle loro imprese». Questo il bollettino del day after che arriva dalle sedi di Confagricoltura delle province di Modena e Ferrara. Quasi una sfida al terremoto che ha squassato le loro case, stalle, magazzini devastandoli. I danni appaiono di ora in ora più gravi e per quantificarli in maniera corretta bisognerà effettuare una puntuale ricognizione degli edifici distrutti, delle aree coltivate inghiottite dalle gigantesche fenditure che si sono aperte improvvisamente nel terreno. «Ma quel che non può aspettare  è la ripresa delle attività agricole che devono seguire il loro corso, pena ulteriori danni a quella terra che viene identificata come il cuore del sistema agroalimentare italiano», sottolinea Confagricoltura. Basta qualche cifra per rendersene conto: nelle sole province di Ferrara e Modena il valore della produzione lorda vendibile agricola tocca 1,2 miliardi di euro (pari ad oltre un quarto di quella di tutta la regione) ed il settore impiega circa 30.000 addetti. Per quanto riguarda la filiera agroindustriale, sempre nel territorio delle due province più colpite dal sisma, il fatturato sfiora i 6,3 miliardi di euro (anche qui poco meno di un quarto del settore a livello regionale), mentre l’occupazione si avvicina ai 14.000 addetti. Una macchina che non si può inceppare perché si metterebbe a rischio, oltre le produzioni, una grossa fetta dell’export made in Italy, di cui l’agroalimentare è una delle principali locomotive. «Quel che serve va fatto subito – dice il presidente di Confagricoltura Guidi –.  L’agricoltura non può essere dimenticata. Oltre allo slittamento dell’Imu va congelata ogni forma di onere fiscale e contributivo, ma soprattutto non bisogna affliggere chi sta combattendo coraggiosamente contro la fatalità del terremoto con modulistiche e assurdità burocratiche. Vogliamo vedere uno Stato vicino ed amico, occorre subito dare respiro e certezze a chi è stato colpito, non seppellire sotto le scartoffie chi non è stato sepolto dalle rovine della propria casa». Intanto l’aggiornamento del disastro continua: si contano oltre 400.000 forme di Parmigiano e Grana Padano danneggiate, in molti allevamenti suinicoli centinaia di animali che non possono più essere ricoverati nelle strutture inagibili vengono venduti anticipatamente (e in molte zone cresce l’urgenza di bonificare le aree terremotate dalle carcasse di altre centinaia di animali morti nei crolli). Per l’allevamento i problemi non finiscono qui, nelle aree più a rischio i mangimifici sono chiusi, come quello di Ostiglia, presso Mantova, così pure lo Stabilimento della Granarolo. Senza contare che nelle aziende manca l’elettricità e le operazioni di mungitura possono spessa essere eseguite solo grazie a gruppi elettrogeni d’emergenza.

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