Sergio Cammariere: “Un nuovo album per viaggiare ed emozionarci”

Intervista a Sergio Cammariere sul nuovo album di inediti “Mano nella mano”. Undici tracce che raccolgono l’eredità migliore del cantautorato italiano e che nascono da un lungo viaggio alla scoperta di sonorità, tradizioni ed emozioni differenti.

In un Paese nel quale domina lo strapotere pop dei talent e dove creatività, cultura e originalità sembrano qualità per pochi eletti, Sergio Cammariere rappresenta una boccata di ossigeno, una carezza vellutata di poesia e raffinatezza in musica. Il cantautore calabrese ha pubblicato di recente un nuovo album, “Mano nella mano” (Sony Music), frutto di un lungo percorso di ricerca attraverso sguardi, tradizioni, sonorità che appartengono a luoghi lontani e, al contempo, di un viaggio nella profondità dell’animo umano, tra sentimenti, ricordi ed esperienze di vita. Ecco cosa è emerso dalla nostra lunga e piacevolissima chiacchierata.

“Mano nella mano” nasce dall’incontro di suoni, strumenti e parole apparentemente lontani eppure uniti con stile in un unico abbraccio artistico. Come è nata l’idea dell’album?

Volevo comporre canzoni capaci di regalare emozioni e trasmettere positività e serenità, soprattutto in questo momento difficile che stiamo vivendo. L’idea è nata durante un viaggio in Andalusia, un luogo magico, dove Europa e Africa, ma anche Oceano e Mare si incontrano. Visitando quella terra, percorrendo chilometri in auto, ho avvertito un senso di solidarietà, un messaggio di pace a livello spirituale. Emozioni che un artista ha l’obbligo di tradurre e trasmettere attraverso la propria opera.

C’è un episodio in particolare, legato a quel viaggio, che le ha dato l’ispirazione giusta?

L’incontro con un ragazzo italiano, credo fosse di Venezia. Un diciottenne arrivato a Tarifa in sella alla sua bicicletta, dopo oltre tremila chilometri percorsi in tre mesi. Parlando con lui, ho scoperto che era arrivato fin lì per lo stesso motivo che mi aveva spinto a partire: trovare se stesso in un luogo sospeso nel tempo.

Come ha lavorato alle undici tracce del nuovo album?

Per la maggior parte dei brani è nata prima la parte musicale. Alcune canzoni del disco sono state scritte tanti anni fa, poi riprese e talvolta modificate nella metrica della poesia e negli arrangiamenti.

Come nel caso de “L’amore trovato”?

Il pezzo originale è di Roberto Kunstler, mio storico collaboratore e co-autore, che nel disco ha firmato diversi brani. Si tratta di una bossa dove piano e sonorità sudamericane si mescolano. Ho cambiato alcune parti, l’ho musicata in modo diverso da come è stata scritta, ma il nucleo centrale e il senso della canzone sono rimaste integre.

Le collaborazioni nel disco sono tante e lei sembra affidarsi sempre ai suoi amici e musicisti fidati. E’ così?

Conosco e collaboro con Kunstler da decenni, così come con Giulio Casale, Fabrizio Bosso, Amedeo Ariano, tutti professionisti e straordinari musicisti che mi accompagnano anche sul palco durante i live. Con Giulio è nata “La vita ci vuole”: è bastata una sua frase, mandata all’improvviso qualche anno fa, per dar vita a questo pezzo. Con Bosso, invece, sono arrivate “Le incertezze di marzo”, delicata e confidenziale, e “Ancora non mi stanco”, una canzone lieve, quasi sussurrata.

In “Mano nella mano” spicca anche la collaborazione con Gegè Telesforo.

Il brano “Ed ora” è stato scritto tanti anni fa, poi pubblicato dallo stesso Gegè alla fine degli anni Ottanta ma in una versione diversa da quella attuale. Sono contento che la canzone compaia oggi nel mio nuovo album. Ha trovato il colore giusto, la melodia perfetta, inserendo la fisarmonica di Antonello Salis e lo scat finale di Telesforo.

“Così solare”, invece, è un brano che ha scritto in età giovanile. Perché è rimasto nel cassetto fino ad oggi?

Vado molto fiero di “Così solare”. Narra una piccola storia fatta di ricordi, nostalgia e tenerezze. Un brano che ho scritto in età giovanile, è vero. Non so perché è rimasto nascosto. Sono felice che abbia trovato spazio nel disco, con nuovi arrangiamenti, la ritmica discreta di Bruno Marcozzi e le chitarre di Taufic.

E poi c’è “Io senza te, tu senza me”, dell’indimenticabile Bruno Lauzi. Perché ha scelto proprio questa canzone?

E’ un mio personalissimo omaggio a un amico e grande poeta-cantautore. Si tratta di una “samba genovese” che Lauzi mi fece sentire una sera a casa mia. Credo fosse il 1995. Io all’epoca ero ancora uno sconosciuto, non avevo ancora vinto il Premio Tenco (aggiudicato nel 1997, ndr). Fortunatamente avevo l’abitudine di registrare tutto, tramite video e audio. Ricordo che ci mettemmo a suonare brani di noti artisti americani, ad esempio di James Taylor. Gli feci ascoltare anche alcune mie composizioni, da “Tempo perduto” a “Per ricordarmi di te”, che avrei voluto portare al Pemio Tenco. Il maestro, invece, si mise a suonare la chitarra e a cantare un brano che aveva scritto da poco, dimenticando però parte del testo.

Come ha fatto a recuperarlo?

Ho cercato a lungo. Purtroppo, dopo la sua morte, non vi era traccia del testo originale. Neanche il figlio Maurizio Lauzi ne sapeva qualcosa. Solo grazie a un caro amico, scoprii l’esistenza di un vinile, “Pagine” nel quale era incisa una versione lenta della canzone di Bruno, dunque non con l’amata samba genovese. In “Mano nella mano” ho inciso la versione che Lauzi amava. Ho voluto rendergli omaggio, avverando questo suo sogno. Lui sarebbe fiero di questa canzone.

L’album si chiude, come è solito fare in ogni sua opera, con un brano strumentale: “Pangea”. Come lo descriverebbe?

“Pangea” è una canzone senza confini, una terra avvolta da un unico mare. Mi ricorda la Sardegna, che amo in modo particolare. Nel brano ho immaginato un intro con un’eruzione vulcanica, una sorta di esplosione, per poi ricollegarmi al brano di apertura, “Mano nella mano”, metafora iniziale da dove il viaggio comincia.

Presto la vedremo in tour: cosa dobbiamo aspettarci?

Sarà una bella festa sul palco, viva e ricca di forti emozioni e sonorità accattivanti. Al mio fianco avrò la mia famiglia musicale e artistica, dunque tutti i professionisti e gli amici che da sempre collaborano con me. Il tour teatrale partirà il prossimo 22 novembre da Bari.

Quanto è difficile oggi fare album di qualità in Italia? Qual è lo stato di salute della musica di casa nostra?

Le rispondo citando nuovamente Bruno Lauzi, il quale già negli anni Novanta, durante i nostri primi incontri, mi parlava della musica italiana ormai omologata. Ecco, noi siamo vittime di ciò che è accaduto vent’anni fa. La tecnologia bene o male ha le sue colpe. Sono arrivati prima i cd pirata, ora le persone possono scaricare gratuitamente musica da internet. Io faccio parte di quella generazione che ha subito il colpo emotivo, passando rapidamente dal vinile al cd alla musica liquida. Ci sono comunque tanti studi, anche di inizio Novecento, che possono spiegare ciò che è accaduto nel mondo della musica e come l’orecchio umano non riesca più a distinguere una terza maggiore da una terza minore.

Andiamo sul difficile!

E’ un discorso sociologico ma anche scientifico. Perché oggi la musica è omologata? Perché un cantante o un musicista è costretto a rivolgersi a un talent per emergere? La risposta è nell’educazione sociale data al pubblico. Siamo vittime di un sistema. Lo diceva anche Steiner nelle sue opere.

Scusi?

Rudolf Steiner. Si legga i suoi libri, in particolare quelli che indagano e spiegano l’essenza della musica. Sono un appassionato di antroposofia ma anche di esoterismo. Credo che tra musica e matematica ci sia una connessione. La melodia è un susseguirsi di note nel tempo , alla quale va applicata una formula matematica. “L’amore trovato” ne è un esempio. Certo, serve un orecchio allenato e raffinato per cogliere questi dettagli.

Un orecchio come il suo, insomma.

Io mi sento un continuatore dei grandi cantautori italiani. Un consiglio che mi sento di dare a tutti, soprattutto ai giovani, è quello di studiare, di approfondire la materia. Recuperiamo le tradizioni, riascoltiamo il cantautorato italiano, quello della scuola genovese, da Lauzi a Paoli, di Carlo Alberto Rossi, e poi Modugno, De André, Guccini. Ciò che ho imparato ascoltando i grandi maestri della canzone è che l’essenza della musica sta nella sua armonia, nell’intuito, nell’originalità e nella bellezza.

Silvia Marchetti

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