Paola Minaccioni, l’intervista

Paola Minaccioni, attrice stimatissima anche tra i suoi colleghi, cosa per niente scontata, sta per tornare sul palcoscenico con il suo one woman show La ragazza con la valigia, che aprirà la prima edizione de Le Terrazze Teatro Festival, al Palazzo dei Congressi di Roma, al quartiere EUR, l’8 luglio 2016. Nella prossima stagione teatrale, Paola è in cartellone al Teatro Ambra Jovinelli con Voi siete qui, scritto con Michele Santeramo. Il grande successo nei film con Ozpetek, l’amore per la professione, la dedizione alla formazione, ma anche le fragilità e le insicurezze di una donna che grazie al palcoscenico è riuscita a trovare se stessa. Ce lo racconta in questa intervista.

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Paola Minaccioni, torni a Roma con questo tuo monologo “a più voci”, La ragazza con la valigia. Cosa c’è dentro questo bagaglio?
Ci sono tutte le personalità con cui convivo da quando sono nata. Tutti quelli che sono poi diventati i miei personaggi, sono aspetti di me stessa, oppure quelli che avrei voluto avere e invece non ho. Non ho mai voluto essere me stessa nella mia vita, volevo sempre essere qualcun altro e a forza di osservare gli altri mi sono talmente immedesimata da dare vita a tanti personaggi. E fanno parte di me perché hanno segnato gli anni della mia carriera, dal personaggio della nonna che è forse quello che ancora oggi mi dà più soddisfazione col pubblico, che è la mia nonna iniziata a imitare in casa, o quello della poetessa, personaggio che ho fatto anche in tv, che legge mie poesie vere che ho scritto dal 90, la qualunquista razzista Cosa38 Kiss Kiss, la rumena Katinka e altri. E poi c’è la mia Giorgia Meloni che apre con un discorso di benvenuto la serata. Oltretutto saremo sulle terrazze del Palazzo dei Congressi dell’Eur, quartiere fascista per eccellenza, e lei non poteva mancare.

Mi incuriosisce molto la tua affermazione, che ho letto anche in passato, con cui dici di non aver mai voluto essere te stessa. Come mai?
Ma sai, non è una cosa di cui sei consapevole fino in fondo. Semplificando, capii che preferivo stare su un palcoscenico piuttosto che altrove. Sono stata una persona molto insicura, che non capiva bene chi fosse e cosa volesse essere nella vita. Il palcoscenico mi ha aiutata tantissimo a mettere a fuoco me stessa. Da sempre sono stata una grande osservatrice degli altri, ma perché pensavo che gli altri avessero cose che io non avevo. Questo è un punto di vista che da una parte ti rende debole, dall’altra sviluppa una capacità di osservazione notevole. Poi ci sarà anche il talento, sicuro, ma psicologicamente per me è stata una vera elaborazione. La vita sul palco, per me, è stata sempre più semplice rispetto alla vita reale. Poi si cresce, si cambia, ma posso dire che grazie al teatro, alla comicità, mi sono esplorata e mi sono trovata.

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In effetti il teatro è una vera terapia, per molti aspetti.
Assolutamente sì. Credo che tutti quelli che salgono su un palcoscenico e abbiano qualcosa da dire, lo fanno perché qualcosa della loro vita viene compensata dal palcoscenico. Sennò saremmo solo dei fanatici.

Tornando a La ragazza con la valigia, leggo nelle note che i personaggi interpretati vogliono essere un viaggio leggero per “scattare un’istantanea contemporanea della situazione femminile”. Ecco, situazione femminile in un periodo storico in cui il brutto termine femminicidio è entrato nel lessico quotidiano ormai…
Stiamo vivendo un periodo di non dialogo, non comprensione e non accettazione dell’altro. Credo che questi episodi siano anche specchio di una certa politica che alimenta la paura dell’altro diverso da noi. Ci vorrebbe un’educazione sentimentale. In un libro di Carofiglio leggevo che laddove non arriva la parola, arriva la violenza. Quando una persona non riesce a gestire attraverso il linguaggio il proprio disagio, la propria rabbia, questa impotenza si trasforma in violenza. Ecco, dovremmo recuperare il linguaggio e il dialogo. E soprattutto, dovremmo non lasciare le donne sole…non è possibile che una donna che subisce maltrattamenti non si possa aiutare finché non viene ammazzata, è terribile. Nel mio spettacolo, c’è un personaggio che dice una battuta sulla violenza verso le donne, ma è comunque uno spettacolo comico.

I personaggi di Paola Minaccioni però, ci riflettevo in questi giorni, anche quelli più esilaranti come Cosa38 Kiss Kiss, non sono mai banali. Voglio dire, quando nello sketch lei parla di “la gay” come una malattia, questo nasce comunque da tematiche in cui siamo immersi quotidianamente, che hanno un senso.
E’ normale che uno venga contagiato da quello che vede e sente, certamente. Non è che lo faccio apposta con un intento critico, mi viene naturale avendo un punto di vista sulle cose. Posso dirti che, purtroppo, sono stata a cena più volte con persone italiane, convinte davvero che l’omosessualità fosse una malattia! In alcune città, quando ho detto quella battuta, non hanno proprio riso. Accadde una volta in Friuli, non dirò in quale città, in cui rimasi scioccata perché capii che il pubblico pensava che stessi dicendo una cosa vera.

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Passiamo al cinema. L’incontro con Ozpetek è stato uno spartiacque nella tua carriera. Come è riuscito a valorizzarti, cosa senti di aver migliorato in particolare, grazie a lui?
Con lui ho potuto interpretare dei ruoli che non fossero banali, lui mi ha dato la possibilità di emanciparmi pubblicamente rispetto al ruolo di comica. In realtà io ho una formazione di attrice diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, in teatro ha fatto anche Cechov, teatro classico quindi. Avendo avuto fortuna con la tv, si tende poi a mettere delle definizioni limitanti, per cui non ho avuto la possibilità di interpretare ruoli diversi. Soprattutto in Italia, ti chiamano per quello che sanno che tu già sai fare. Ecco, Ferzan Ozpetek ha saputo rischiare con me, ci ha creduto.

Qual è il film a cui sei più affezionata?
Sono due, di Ozpetek. Allacciate le cinture (Nastro d’Argento 2014, miglior attrice non protagonista – nda), con quel personaggio come potrei non citarlo? L’altro è Magnifica presenza (Globo d’Oro 2012, miglior attrice non protagonista – nda) con Elio Germano, che adoro. Ho amato molto quest’ultimo film, non solo per il mio ruolo, ma perché è un film delicatissimo, di alto livello, con grandi attori. Una storia strana, complicata, ma questo è Ozpetek! Lui ama rischiare e non propone mai il pacchetto sicuro allo spettatore.

A proposito di cose insolite. Tu hai recitato anche nella fiction La pallottola nel cuore con Gigi Proietti. Qualche mese fa abbiamo intervistato sua figlia Carlotta e secondo me voi due sareste una coppia formidabile sul palcoscenico, avete dei tempi comici straordinari. Insieme non vi vedremo mai?
(ride – nda) Ma dai! Chissà lei da chi li ha presi i tempi comici! Con Carlotta ci vogliamo bene, ci stimiamo molto. No, non ci è mai venuta l’idea finora, ma magari ora raccoglieremo questo tuo suggerimento, perché no!

©Roberta Krasnig
©Roberta Krasnig

Paola, spesso hai citato Ivana Chubbuk (americana, creatrice dell’omonima Tecnica di recitazione. Il Potere dell’attore è il suo testo bestseller – nda) come actor coach preferita. Cosa insegna a voi attori coi suoi metodi?
Lei insegna a utilizzare il proprio patrimonio umano sul palcoscenico, quindi a rendere la battuta interessante, lo sguardo vero, ti aiuta a riflettere. Secondo me lei ha l’abilità non solo di emanciparci, noi italiani, dal nostro “piagnonismo” in scena, ma anche di rendere gli attori più interessanti perché indirizzati sulla strada per fare un’analisi del testo, del contesto, del personaggio, più raffinata. Non ti annoi mai e sei un attore molto più interessante. Ho visto tirare fuori cose meravigliose da persone impacciatissime. Io stessa ho lavorato due anni con lei su dei testi drammaticissimi ed è stata una liberazione perché mi ha tolto di dosso un po’ di storia che altri mi hanno appiccicato. Una grandissima coach e noi attori abbiamo il dovere di aggiornarci continuamente.

Non posso non farti una domanda che richiama il ricordo del tuo papà Roberto, storico massaggiatore della Roma negli anni Settanta. Oltre alle caratteristiche fisiognomiche di tuo padre, cosa ti è rimasto di quel mondo che in qualche modo hai respirato mentre ambivi alla professione di attrice?
Oh, guarda, innanzitutto una certa abitudine al mondo dello spettacolo, perché io sono nata e fuori casa mia c’erano file di persone, che io non capivo cosa facessero, ma veniva un sacco di gente, poi un legame con lo sport senza dubbio. Mi piace la Roma certamente, la seguo, però sai una cosa? Difficilmente riesco a collegare la Roma di adesso a quella del mio papà. Quando mio padre lavorava nella Roma erano in due, facevano tutto loro, ancora oggi tante persone mi telefonano e mi raccontano di come mio padre li curò. Questi grandi personaggi dello sport italiano hanno lasciato una scia indelebile, rappresentavano anche un’Italia che non c’è più. Ho una grande nostalgia di quel periodo, una grande tenerezza nei confronti del mio papà e di quell’Italia lì. Prima di lui Angelino Cerretti, ai tempi di Campo Testaccio, dopo mio padre venne Giorgio Rossi, massaggiatori per una vita nella stessa squadra…tutti romani poi!

A proposito di sport: in un’intervista, Andrea Delogu (conduttrice televisiva e radiofonica – nda) ha detto che giocate insieme a pallavolo.
Sì, sì (ride – nda). La Delogu ha messo su questa squadra di pallavolo, io ho giocato tanti anni e mi sono lanciata divertendomi tantissimo. Abbiamo ricreato un po’ il clima tutto maschile del “calcetto del mercoledì”, tutte amiche, davvero ricreativo e rigenerativo, altro che meditazione trascendentale!

 

Paola, lasciamoci con una considerazione che prende spunto dal titolo La ragazza con la valigia che farai a Roma alle Terrazze dell’Eur l’8 luglio. Nella tua personalissima valigia, cosa toglieresti e cosa lasceresti a questo punto della tua vita?
Oddio che domandona! Toglierei il superfluo: appuntamenti inutili, il tempo sprecato. Ci metterei più biglietti aerei, degli spettacoli drammatici da fare a teatro, dei film con belle storie di donne e ci lascerei la mia famiglia, i nipoti, il mio amore.

Sei soddisfatta?
Sì, lo sono perché già fare questo lavoro è un miracolo, ma sono anche insoddisfatta perché ho tante cose che vorrei fare o che vorrei fare meglio. Ma l’insoddisfazione è anche il motore che mi muove a cercare altro, a mettermi in discussione sempre per migliorare. E’ il mestiere dell’attore, tutto sommato.

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