L’AGENDA DI CONFINDUSTRIA CONTRO LA CRISI

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La crisi sta lasciando profonde ferite. A lanciare l’allarme è Confindustria che, nel documento programmatico, parla di «un’emergenza economica e sociale» per far pronte alla quale occorre un «vera e propria terapia d’urto, che deve segnare una forte discontinuità e produrre effetti economici immediati. Dobbiamo rendere nuovamente competitive le nostre imprese, abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti».

Dal 2007 la produzione industriale ha perso il 25 per cento, il tasso di disoccupazione è raddoppiato, il reddito per abitante è tornato ai livelli del 1997, si legge nel documento. «Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, riconoscere e riaffermare la centralità delle imprese, infondere fiducia negli italiani, restituire ai giovani un futuro di progresso, facendo ripartire subito l’economia e rilanciando l’industria, vera colonna portante del Paese. Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo di più dello 0,5 per cento all’anno».

L’alternativa è il declino. «Non possiamo e non vogliamo accettarlo. Ne va del futuro dei nostri giovani e delle nostre imprese. Dobbiamo tornare a crescere. È un imperativo. È un obiettivo raggiungibile. Adesso più che mai hanno bisogno di un Paese che creda in loro e che le sostenga. L’Italia deve uscire dalla crisi e può farlo, ma perché questo accada c’è bisogno di azioni concrete e coraggiose».

Confindustria avanza una serie di proposte sotto forma di «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018, deve riportare il dibattito elettorale sui temi dell’industria e del lavoro, purtroppo trascurati in queste settimane». L’appello è rivolto a tutte le forse politiche in campo affinché alla terapia d’urto si accompagni «un processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo, sul quale ci aspettiamo che tutte le forze politiche prendano un impegno, perché è ora di cambiare il volto del Paese. A partire dalle Istituzioni. Abbiamo bisogno di un’Italia veramente liberale, di uno Stato che arretri nel suo perimetro, lasci spazio ad una sana concorrenza dei privati e che per primo applichi la legge, pagando i propri debiti e rispettando i diritti dei cittadini e delle imprese».

Intanto, da una ricerca realizzata dal Censis per la Covip emerge la grande confusione dei giovani sul mondo del lavoro e sulla pensione, che fa sempre più paura. I giovani lavoratori italiani (18-34 anni) credono che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 53,6 per cento del loro reddito da lavoro. E il 30 per cento di essi si aspetta una pensione di base inferiore alla metà del reddito attuale. Preoccupati da una vecchiaia da trascorrere in ristrettezze economiche (39 per cento), sono consapevoli di dover integrare la pensione pubblica con qualche forma di risparmio: titoli mobiliari (38,8 per cento), il mattone (19 per cento) e la previdenza complementare (17,4 per cento). Quando si pensa alla pensione, a prevalere è la paura: di perdere il lavoro e non riuscire a versare i contributi (34,3 per cento), o di diventare precari e quindi di poter versare i contributi solo in modo saltuario (32,7 per cento). Già oggi il 39,4 per cento dei giovani lavoratori ha un percorso contributivo discontinuo a causa di lavori precari o impieghi senza versamenti pensionistici.

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