SALUTE: SCOPERTO UN NUOVO BATTERIO MAGNETOTATTICO

Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) del batterio magnetotattico “Magnetobrivio blakemorei”

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con l’Istituto Oceanografico dell’Università di San Paolo, l’Università di Nevada e l’Università di Rio de Janeiro, ha identificato, per la prima volta, in prossimità della foce del fiume Neponset (Massachussetts, USA), un nuovo batterio magnetotattico. L’analisi al microscopio elettronico ha messo in luce la presenza di una struttura a catena di cristalli di magnetite pura, ciascuno della dimensione di 20-50 nm (per confronto, la doppia elica del DNA ha un diametro di circa 2 nm). Il batterio Magnetobrivio blakemorei, oggetto di questa ricerca, è stato isolato e messo in coltivazione presso i laboratori dell’Istituto di Microbiologia, dell’Università di Rio de Janeiro in Brasile. Proprio per le sue caratteristiche magnetiche, la coltura di Magnetobrivio blakemorei è stata poi trasferita presso il laboratorio di paleomagnetismo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dove è stato sviluppato un protocollo di analisi “magnetiche” con strumentazione all’avanguardia su questo microorganismo vivo.

I primi risultati ottenuti da questa ricerca (in stampa su Environmental Microbiology) hanno permesso di definire, in maniera univoca, l’impronta magnetica di questo microorganismo che ne permette il riconoscimento. I batteri magnetotattici, identificati per la prima volta negli anni ’60, hanno la peculiarità di muoversi camminando lungo le linee di forza del campo magnetico terrestre (magnetotassi) e lo fanno grazie alla presenza di cristalli di magnetite che i batteri biomineralizzano all’interno della cellula. Questo grazie alla presenza di un gruppo di geni presenti nel suo DNA. Questa loro caratteristica ha destato sempre molto interesse e sono stati sottoposti a innumerevoli esperimenti persino a bordo dello Space Shuttle per esaminarne il comportamento in assenza di gravità. Caratterizzare al meglio questi microorganismi è molto importante per le loro molteplici applicazioni anche nel campo della medicina.

Chiediamo al dirigente di ricerca dell’INGV, Fabio Florindo, firmatario della pubblicazione scientifica quali sono state le tecniche per analizzare il “Magnetobrivio blakemorei”.

Il batterio è stato analizzato sia al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) per avere una “visione” dei cristalli di magnetite che con tecniche magnetiche che servono a studiare le proprietà magnetiche dei cristalli sintetizzati. Queste ultime tecniche sono all’avanguardia (first order reversal curves, FORC; ferromagnetic resonance, FMR; e decomposition of saturation remanent magnetization, DAM) attraverso le quali, applicando opportuni valori di campo magnetico, è possibile avere una stima della interazione magnetica tra i diversi cristalli e capire la dimensione degli stessi.

Con le analisi, il batterio è stato compromesso o è rimasto integro?

Il tipo di analisi magnetiche che abbiamo fatto nel laboratorio di paleomagnetismo dell’INGV non sono dannose per questi organismi e permettono quindi di studiare le proprietà dei magnetosomi (cosi si chiamano i cristalli sintetizzati dal batterio) quando sono ancora all’interno della cellula.

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