IL LAVORO IMMIGRATO NEGLI ANNI DELLA CRISI

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L’analisi dei microdati sulle forze lavoro dell’Istat relativi al I semestre del 2012 permette di dare una lettura su quanto accaduto nel corso degli ultimi 5 anni nel mercato del lavoro italiano rispetto alla dinamiche relative alla componente immigrata. Nel corso del quinquennio appena trascorso il mercato del lavoro italiano ha pesantemente subito gli effetti della profonda crisi economica e finanziaria. In particolare l’andamento del tasso di occupazione e di disoccupazione hanno delle traiettorie sensibilmente negative per le fasce più deboli e precarie del mercato del lavoro. Per quanto riguarda i lavoratori immigrati, in particolare, è possibile affermare che nel corso dell’ultimo anno siano entrati nell’occhio di un ciclone. Questi in sintesi i dati riportati nel rapporto che verrà pubblicato dall’Osservatorio sull’immigrazione dell’IRES CGIL nel mese di novembre.

«Al I semestre 2012 – si legge nella nota diffusa dal sindacato – la quota del lavoro immigrato sul totale è pari al 10 per cento circa e si concentra soprattutto in alcuni settori: Servizi collettivi e alla persona (37 per cento), Costruzioni (19,2 per cento), Agricoltura (13 per cento), Turismo (15,8 per cento) e Trasporto (11,7 per cento). Appare, inoltre, interessante notare come le quote siano cresciute nell’ultimo quinquennio specialmente in Agricoltura e nei Trasporti dove il dato è quasi raddoppiato e nei Servizi alla persona (in cui c’è la crescita maggiore in termini di valore assoluto). Oltre un terzo degli occupati immigrati svolge una professione non qualificata e circa il 60 per cento è impiegato in una microimpresa (contro il 34 per cento degli italiani), con tutto ciò che questo comporta in termini di nati-mortalità delle imprese, di rischio licenziamento, di accesso agli ammortizzatori sociali e di possibilità di sindacalizzazione. Per quanto concerne le modalità di accesso al lavoro il 64 per cento lo fa attraverso la rete informale di parenti o amici (contro il 31 per cento degli italiani)».

«Quanto emerso dalla nostra analisi ci fa, pertanto, affermare che l’occupazione degli immigrati stia subendo gli effetti della crisi in maniera estremamente negativa. I dati, infatti, configurano una maggiore precarizzazione dei rapporti di lavoro e una riduzione notevole delle ore lavorate che in vari casi nasconde – come da noi verificato in settori chiave come ad esempio quello edile – falsi contratti part-time, false partite iva e aumento del lavoro sommerso. Contemporaneamente aumenta il divario tra le retribuzioni degli stranieri rispetto a quelle degli italiani».

«L’indagine  – commentano Vera Lamonica, segretario confederale Cgil, e Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio – dimostra, in modo inequivocabile, come alla continua crescita del numero di lavoratori e lavoratrici  migranti e al loro fondamentale contributo all’economia italiana, si accompagna un continuo peggioramento delle condizioni di lavoro che si sommano alle condizioni di svantaggio già esistenti. Fra cui il permanere di un grande bacino di lavoro nero e irregolare che la recente sanatoria non ha sostanzialmente  intaccato. Questo peggioramento riguarda la crescita del tasso di disoccupazione, che supera il 14 per cento; l’aumento della cassa integrazione pur essendo la maggioranza di questi lavoratori impiegati in piccole  imprese. Riguarda l’enorme espansione del lavoro precario, cresciuto solo per il tempo determinato del 67 per cento fra il 2008 e il 2012, ma anche il continuo aumento dell’addensamento delle presenze nei lavori meno qualificati e una retribuzione media e inferiore di quasi un quarto a quelle già troppo basse di un lavoratore italiano. Tutto ciò conferma, oltre alla crisi, una situazione inaccettabile per i diritti di queste persone e un conseguente meccanismo di dumping e ricattabilità verso tutti i lavoratori, contro cui la CGIL si batte e verso il quale le politiche del governo sono inesistenti. Iniziative e proposte che sono parte della mobilitazione della CGIL per un lavoro dignitoso e per il Piano per il lavoro».

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