A Teatro Modigliani visto da Longoni: recensione

La recensione dello spettacolo di Longoni su Modigliani in scena a Roma al Teatro Quirino
Non poteva esserci giorno migliore dell’8 marzo, per questa prima romana della nuova pièce di Angelo Longoni al Teatro Quirino, perché sono le donne e il loro amore l’elemento cardine su cui si poggiava, o meglio, di cui si nutriva lo spirito artistico di Amedeo Modigliani. Quattro donne tra le più significative nel suo tormentato periodo parigino, in piena Boheme, quattro figure che, come un quadro, incorniciano e definiscono un’anima sfuggevole, inquieta, votata all’autodistruzione. Era il sogno di Longoni, come ci raccontò nella nostra ultima intervista questa estate, quello di confrontarsi con la struggente esistenza di Modigliani e di quel periodo parigino. A circa 8 anni dal suo Caravaggio televisivo, stavolta l’autore e regista ha preso in mano il pennello in teatro ed è riuscito, con il suo tratto raffinato e di grande gusto estetico, a dipingere sulla sua tela immaginaria gli ultimi, intensi 14 anni del geniale ma sfortunato artista livornese (dal 1906 al 1920) nella Ville Lumière, crogiolo di eccessi e cambiamenti radicali, nell’arte e nei costumi. Per farlo si è affidato a Marco Bocci, presenza scenica imponente e fascino latino.

©Marina Alessi
©Marina Alessi

A teatro Longoni inizia con gli ultimi istanti di vita di Modigliani, in preda ai fumi dell’alcol e minato dalla tubercolosi, insieme alla sua ultima donna, la giovane Jeanne Hébuterne (Claudia Potenza), moglie devota e pittrice, che si toglierà la vita il giorno dopo la scomparsa del suo amatissimo Amedeo, incinta del loro secondo figlio. Davanti a lui, separate dalla funzionale tenda a frange che sarà il divisorio tra il suo studio e tutte le ambientazioni esterne, nonché fondale per le stupende proiezioni di dipinti ed effetti scenici durante la rappresentazione, sfilano le altre tre donne come ombre del suo passato, come frammenti di un sogno che sta per morire. “Guardate come è triste un sogno che muore” dice l’artista … Si inizia quindi dalla fine per poi ripercorrere mirabilmente, con sapienti scelte registiche, quegli anni francesi. Dai primi tempi con l’affascinante modella e prostituta Kiki de Montparnasse (Giulia Carpaneto) che lo introdurrà alla vita bohèmien facendogli conoscere gli artisti più importanti ma iniziandolo anche alla perdizione dell’assenzio e delle droghe e con la quale rimarrà sempre amico, alla carismatica e chiaroveggente poetessa russa Anna Achmatova (Vera Dragone) con la quale Modigliani stabilisce una grande intesa fisica ma soprattutto intellettuale, trovando in lei un flebile momento di equilibrio che perderà quando questa deciderà di lasciarlo per tornare in patria con il marito. Senza il sostegno dell’amore, l’artista italiano ricade nella disperazione dei suoi vizi. Terza donna, la ricca e colta Beatrice Hastings (Romina Mondello), giornalista corrispondente da Parigi per il giornale inglese The New Age, esperta d’arte. Un grande amore passionale costellato di liti furibonde. Lo sostiene economicamente, tenta di imporre il suo pragmatismo senza il quale lo stomaco dell’artista rimane vuoto, ma nemmeno lei riesce a spezzare quella “grandezza della solitudine”, peculiarità e dannazione di Modì.

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©Marina Alessi

Quattro donne, sua principale fonte di ispirazione, per un uomo solo, troppo solo, che ama l’arte più di ogni altra cosa, più delle donne stesse. “Quando dipingo sono innamorato”, dice Amedeo. Quattro storie che si incontrano sfiorandosi sul palcoscenico, in un’elegante costruzione scenica che riesce a far emergere anche altri aspetti della carriera di Modigliani: il rifiuto di aderire a qualsiasi movimento artistico, la sua amicizia e rivalità con Picasso, i difficili rapporti coi mercanti d’arte, la predilezione per i volti (“L’universo è tutto racchiuso dentro a un volto, il tuo”), la necessità di scavare oltre la somiglianza per raggiungere l’essenza. Il finale riprende e porta alla conclusione la prima scena, in modo toccante. Marco Bocci ci restituisce un Modigliani sognatore, ingenuo, passionale e orgoglioso ma anche irrimediabilmente infedele, generoso, sfortunato e vittima dei suoi vizi. La sua interpretazione divide, per qualcuno troppo costruita e poco istintiva, a me sinceramente non è dispiaciuta, considerata anche la difficoltà di stare due ore costantemente al centro della scena, senza respiro. Ottime le quattro donne, ben definite caratterialmente e capaci di lasciare un segno significativo ai fini della comprensione di un periodo storico e della vita dell’artista livornese. Lo spettacolo di Longoni riesce a cogliere l’essenza dell’uomo e dell’artista Modì, correndo il rischio documentario, ma evitandolo abilmente, raccontando la vita di un uomo complesso e di un artista immenso nell’unico modo possibile: con un’opera d’arte. Un allestimento di grande livello, da vedere. In scena al teatro Quirino fino al 20 marzo.

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