Letter to a Man: al CRT di Milano un mix di emozioni

©Lucie Jansch
©Lucie Jansch

Mettete due maestri ed eccellenze nel loro campo e scoppieranno insieme facendo scintille in teatro. Ci riferiamo a Robert Wilson e Mikhail Baryshnikov che con Letter to a Man danno corpo sul palcoscenico a uno spettacolo che unisce due mo(n)di di fare arte e di viverla. Danza, parola, e immagini (suggerite ed evocate) si fondono per provocare emozioni. Sì, perché la potenza visionaria di Wilson ben si amalgama con la leggiadria e l’espressività del ballerino creando un incanto per poco più di un’ora, i cui strascichi restano anche in seguito. I due tornano a collaborare dopo “The Old Woman”, e, ancor più post visione, siamo convinti che la scelta di Baryshnikov sia più che adeguata. Lo spettacolo è tratto dai Diari di Vaclav Fomič Nijinskij, un celebre ballerino che passò alla storia per l’intensità dei suoi personaggi – qualità che ben traspare nelle (poche) parole scelte, ma anche dai silenzi per quanto ciò possa apparire paradossale. Nijinskij ebbe una svolta nella sua gavetta grazie all’incontro con Sergej Djagilev, con cui intraprese una relazione amorosa oltre che professionale. Il titolo della pièce prende spunto proprio da una lettera che il ballerino scrisse al suo uomo. Tenendo conto sia della drammaturgia che della messa in scena, ci piace pensare che il regista di “Odyssey” “scriva”, a suo modo e con i propri mezzi, una lettera all’uomo e, nello specifico, a ogni spettatore. «Non è [un lavoro] su Nijinsky – spiega Baryshnikov -. È su questo straordinario libro, miracolosamente scritto in sei mesi. È su un uomo tormentato e sul suo rapporto con la sua arte, con dio, con la famiglia, con le questioni morali. Non abbiamo voluto ricreare nulla… Si tratta di una strana storia parallela sulla voce di questa persona, non sulla sua fisicità». Queste ultime parole sono molto esplicative della direzione in cui Letter to a Man va. Il sipario si apre (ma non del tutto) sul ballerino russo, seduto, col suo volto bianco di biacca, sembra che il voice over gli suggerisca le parole da dire in russo. Le prime sono: «So cos’è la guerra perché la faccio alla madre di mia moglie». Aggiungeremmo che la guerra la faceva anche verso se stesso, talvolta in balia dei pensieri più disparati e tragici. In più punti della rappresentazione, quando le parole fanno capolino, sono anche ripetute più volte: è il disegno wilsoniano di rendere il lucido delirio e il male di vivere che attanagliava un artista come Nijinskij. Il nostro artista in scena asseconda questa visione a partire da quelle espressioni facciali e dalle emissioni vocali che sono cifra degli spettacoli di Wilson. Quadro dopo quadro la partitura inconfondibile del regista texano prende forma con rigorosa precisione: alcuni suoni stridono e inquietano come se fossero un urlo dell’anima e persino i cambi di scena fanno parte del tutto. Non sarà un caso che alcuni siano a vista e altri no, i tecnici diventano ombre di una scatola che vuole essere abitata e farsi metafora delle luci e delle ombre di Nijinsky. In tal senso la cifra stilistica si riconosce anche nell’uso delle luci, gelide, taglienti, in contrasto col nero del frack, pronte, all’occorrenza, a intrecciarsi con le videoproiezioni (volutamente non a fuoco, ma sfumate). In Letter to a Man anche quello che appare come un piccolo dettaglio si rivela simbolico (vedi una minuscola croce che spunta sulla destra) e rappresentativo del mondo interiore del ballerino. Ogni gesto e movimento restituiscono la parabola discendente di Nijinsky, colui che fu chiamato   “l’angelo che litigò con Dio”. Passando al nostro ballerino vivente, il pubblico potrebbe pensare o quantomeno aspettarsi molta danza, ma una delle caratteristiche di Wilson è la lentezza (talvolta al limite dell’immobilità) e Baryshnikov la rispetta, offrendo qualche passo poetico e, al contempo, stilizzato nel rispetto del disegno del maestro, ma anche del personaggio che vogliono far rivivere. Nella seconda parte il “teatro immagine” del regista americano darà corpo a una particolare messa in scena dell’occhio con cui il protagonista si relaziona, è come un vortice, un occhio esterno che dà adito alla sua lucida follia. Infine, vi aspetteranno cigni e un teatro nel teatro in quella scatola dove tutto può accadere. «Io voglio scrivere questo libro per spiegare che cos’è il sentimento», aveva scritto l’artista dei Balletti Russi e Letter to a Man riesce a creare un cortocircuito del sentimento. Voto: [usr 4.5]

“Letter to a Man”

Tratto dai “Diari” di Vaslav Nijinsky (in Italia è edito da Adelphi)

Testo di Christian Dumais-Lvowski

Drammaturgia: Darryl Pinckney

Regia, ideazione scene e luci: Robert Wilson

Con Mikhail Baryshnikov

Musiche: Hal Willner

Costumi e trucco: Jacques Reynaud

Light designer: A.J. Weissbard

Un progetto di Change Performing Arts e Baryshnikov Productions

Commissionato da Spoleto Festival dei 2Mondi, BAM for the 2016 Next Wave Festival, Cal Performances University of California Berkeley, Center for the Art of Performance at UCLA in collaborazione con Teatros del Canal Madrid, Les Ballets de Monte-Carlo/Monaco Dance Forum

Produzione esecutiva CRT Milano

Spettacolo in lingua inglese e russa con sovratitoli in italiano

Si ringrazia l’ufficio stampa del CRT nella persona di Rossella Tansini

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